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S
State Secrets: Inside The Making Of The Electric State


Host Francesca Amiker sits down with directors Joe and Anthony Russo, producer Angela Russo-Otstot, stars Millie Bobby Brown and Chris Pratt, and more to uncover how family was the key to building the emotional core of The Electric State . From the Russos’ own experiences growing up in a large Italian family to the film’s central relationship between Michelle and her robot brother Kid Cosmo, family relationships both on and off of the set were the key to bringing The Electric State to life. Listen to more from Netflix Podcasts . State Secrets: Inside the Making of The Electric State is produced by Netflix and Treefort Media.…
Il venerdì di [mini]marketing
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La newsletter del venerdì su marketing, digital, e-commerce e altre cose divertenti. Scritta e letta da Gianluca Diegoli.
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×[Se vuoi provare il brivido un podcast generato automaticamente dalla AI da questo post, a cui partecipa il mio replicante, molto più chiaro di me, clicca qui sotto] – Una mattina di questa settimana mi sono svegliato – chissà perché – pensando all’infinita lotta tra la carta igienica a un velo-due-tre-quattro-cinque. E come la monovelo in realtà ne faccia consumare di più rispetto a quella a due veli. E quella a due veli faccia consumare più carta di quella a tre. Com’è possibile che l’umanità non si riesca ad accordare nemmeno su questo? Questione da premio Nobel per l’economia (comportamentale). Grazie a Emmaboshi Studio per il supporto a questa edizione. Emanuele è una persona con cui ho lavorato spesso, e posso consigliarvi la sua combo creatività-sostanza. Sei tra le 25.553 persone iscritte tra qui, LinkedIn , Telegram e WhatsApp ? Grazie, spero che le 3,4 ore per scriverla ti siano state utili. A proposito, questa newsletter vive dello sponsor, che peraltro può avere attenzione qualificata: informazioni, idee e costi qui . Il quiz della settimana “Ferrero presenta una limited edition di Kinder Fetta al latte, al gusto mirtillo. Kinder Fetta al latte Mirtillo (146,5 g) è caratterizzata dall’unione della classica farcitura al latte con una nota di mirtillo.” Risposta corretta, come al solito, in fondo. (Ehi, ti chiedo un attimo di attenzione per lo sponsor, che contribuisce a portare la newsletter puntuale ogni venerdì!) Massimizzare l’impatto visivo non è un'opzione, è un vantaggio competitivo È inutile continuare a investire budget in comunicazione visiva che non converte. Non basta "fare grafica", serve una direzione strategica. Ciao, io sono Emanuele Centola e, con più di 300 progetti realizzati e 25 anni di esperienza, aiuto le aziende a trasformare la loro identità visiva in uno strumento che genera risultati. Lo faccio in due modi: ✅ Progettando in prima persona con Emmaboshi Studio , portando metodo e visione. ✅ Come temporary o fractional Art Director lavorando con il vostro team per ottenere il massimo dalle risorse interne. La differenza tra un brand che resta impresso e uno che passa inosservato sta nella qualità delle scelte visive. La vostra comunicazione visiva funziona? Prenota una call e parliamone, senza obblighi. Oppure scrivimi a emanuele@emmaboshi.net Il business della musica automatica La trasformazione digitale non consiste tanto nel mettere in vendita online qualcosa che prima era in vendita offline. Significa soprattutto trovare nuovi modi per creare e scambiare valore in modo più efficiente (cioè meno costoso) di prima, dalla produzione alla distribuzione. A volte cerchiamo di farci pagare di più quel “valore” (ricordo che il cliente deve pensare che il valore valga più dei suoi soldi), a volte possiamo provare a eliminare il costo. Questo è uno di questi casi. In questi passati dodici mesi di indefessa (ok, circa) scrittura del mio nuovo libro che uscirà (annunciazione!) a fine aprile, mi sono imbattuto (è anche il topos del libro) in infiniti intrecci tra comunità, guru, fedi consumistiche, irrazionalità di ritorno, stress contemporanei da scacciare come zanzare fameliche. L’irrazionalità c’entra parecchio, in questa zona franca oggetto della newsletter di oggi. Al di là degli intrecci finiti nel libro, altri mi hanno accompagnato attaccandosi a me come quei pesciolini che puliscono i denti degli squali (o delle balene? Le balene non hanno denti. O forse la pelle? OK, sia come sia). La musica “per scrivere”, per esempio. La chiamo musica perché sono in effetti suoni, e non saprei come altro chiamarla. Ma questa non ha niente della musica come la conosciamo: niente arte, ispirazione, messaggio, artista. Questi sono solo suoni: è una produzione con uno scopo (un prodotto nel più stringente senso del termine). Nel collasso contemporaneo del concetto di settore produttivo verso “problema da curare”, siamo dalle parti della omeopatia, della naturopatia, della riflessologia plantare. Ma queste attività, pure ormai diffuse come la gramigna nel mio prato, non sono scalabili. Bisogna abolire l’umano, per renderle scalabili. E oggi il momento è arrivato. Non sono novità assolute, lo ammetto: da anni c’era una produzione a basso costo di musica “per ascensori” o repliche piano bar di brani famosi, e c’era chi faceva soldi semplicemente mettendo su Spotify il rumore bianco in loop, per la gioia di fruitore, creatore e piattaforma. Gli umani nella musica erano già in estinzione. Oggi questo modello produttivo è la norma. Ecco alcuni titoli di canali (e loro diffusione) che ho ascoltato mentre scrivevo: * Productivity Music, ADHD Relief Music for Focus and Concentration, 462.410 visualizzazioni, 6 mesi fa * Musica da lavoro produttiva: mix Deep Focus per programmazione e codifica, 720.016 visualizzazioni, 3 mesi fa * 40 Hz Brain Activation Binaural Beats: Activate 100% of Your Brain, Gamma Waves, 342 spettatori, LIVE * MUSICA DI LAVORO - 3 ore di musica di lavoro eccezionale, profonda concentrazione ed efficienza #3 712.230 visualizzazioni, 6 mesi fa * Activate Your Higher Mind for Success ☯ Subconscious Mind Programming ☯ Mind/Body Integration, 15 mln di visualizzazioni, 7 anni fa * 40Hz GAMMA Binaural Beats, Ambient Study Music for Focus and Concentration, 5,1 mln di visualizzazioni, 2 anni fa E però ora siamo al costo marginale zero, ma zero davvero. È come vedere i grafici di economia aziendale prendere vita per la prima volta in euro e numeri, non più come teorie sulla carta. Se produrre qualcosa non costa più niente, cosa succede? Succede che tutto diventa una grande roulette che redistribuisce un margine sempre più piccolo al mercato (la concorrenza tra produttori è una legge che vige ancora), ma che basta per questo continuo grattare il fondo dell’economia contemporanea in cui siamo tutti imprenditori part-time, perché questo modello, in effetti, è la realizzazione concreta del sogno del reddito passivo dei fuffa guru. Ci sono canali che sono live da sei mesi, in loop da circa 15 secondi a qualche minuto, con musica completamente creata dalla AI. Andranno avanti per sempre, fino a che non succederà un disastro molto grosso – e forse anche dopo. Gli alieni arriveranno e si chiederanno cosa significasse questa musica. Come gli archeologi, nel dubbio diranno che si tratta di qualcosa di religioso. Sia come sia, quando il costo è zero tutto è margine, anche se questo è di pochi centesimi ogni mille visualizzazioni. Sei però in balia dell’algoritmo, deus ex machina che ti può premiare o condannare. E dell'ottimizzazione per il motore di ricerca di YouTube, ormai la tv di sottofondo del terzo millennio, che sia sul pc o nel televisore poco importa. Queste zone sono frontiera, sono edge & side hustle business, si vince o si perde per un pelo, si guadagnano centesimi che hanno senso solo su grandi numeri investendo una parte piccola del proprio tempo. E quindi è un continuo tempestare la roulette di puntate di suoni spazzatura in paziente attesa di quello che sbancherà il banco. E tuttavia come non essere commossi da tanta schumpeteriana "burrasca di distruzione creativa"? Sono progetti che sorprendono per la loro creatività imprenditoriale nello sfruttare le pieghe della trasformazione, nel ricercare e nell’appoggiarsi a una incrollabile domanda di cura per sindromi vere e presunte, nello studiare mosse e contromosse dei flussi delle piattaforme e degli algoritmi di cui tanto noi non-imprenditori-digitali ci lamentiamo a parole, e nell’usare la potenza della produzione a costo zero per soddisfarci, e quindi la disponibilità a pagare (con il tempo, con i dati, con i soldi: non importa più in questa economia). In questo caso, paghiamo con il tempo: tra un suono curante e l’altro ci sono gli spot di YouTube. I soldi, alla fine, partono da lì: da qualcuno che prova a venderci qualcosa, tra un foglio di Excel, un Google Docs e un PowerPoint che non abbiamo proprio voglia di fare, e come ex-voto ci affidiamo ai suoni a 40Hz GAMMA Binaural Beats . Tutto effetto placebo, ma smentitemi pure. Non è importante ai nostri fini, per il marketing basta che qualcuno ci creda, o che nel dubbio non gli dispiaccia sentire queste cose anonimizzanti. Se abbiamo un prodotto a costo zero e tempo di realizzazione da ammortizzare a più infinito, basta questo per finire in utile. Utile, ma quanto? Non tantissimo, ma nemmeno poco per non fare nulla. Proviamo a calcolare concretamente quanto potresti aver guadagnato su YouTube con un livestream musicale di circa 200 spettatori in media, attivo da sei mesi. Quello che sto ascoltando ora. Per prima cosa, definiamo alcuni parametri generali (mediamente realistici) per questo tipo di canale: * Ore totali trasmesse in sei mesi: 180 giorni × 24 ore = 4.320 ore. * Media spettatori simultanei: 200 utenti (stiamo bassi). * CPM medio (Costo per Mille visualizzazioni/monetizzazione pubblicitaria media su questo tipo di contenuto): da 0,5€ a 2€ (teniamoci un valore medio di 1.25€). * In media, un utente collegato continuamente genera circa 2 visualizzazioni pubblicitarie per ora (ipotizzando intervalli di annunci ogni 30 minuti). Dunque, avremmo 200 utenti × 2 visualizzazioni orarie × 4.320 ore = 1.728.000 visualizzazioni monetizzabili totali. Prendiamo lo scenario medio (CPM = 1,25€). Ora una precisazione importante. C’è differenza tra CPM e RPM: CPM (Costo per Mille) è quanto l'inserzionista paga a YouTube per ogni 1000 visualizzazioni pubblicitarie. Quindi, quando si dice "CPM medio 1€", ci si riferisce a quanto l'inserzionista sta pagando a YouTube, non quanto riceve direttamente il creator. RPM (Revenue per Mille) invece rappresenta quanto il creator riceve effettivamente ogni mille visualizzazioni monetizzate, dopo che YouTube ha preso la sua quota. YouTube solitamente trattiene circa il 45% dei ricavi pubblicitari e lascia al creator circa il 55%. Questo significa, ad esempio, che se un inserzionista paga a YouTube un CPM di 1,25€, il creator riceverà circa 0,69€ ogni 1.000 visualizzazioni (1,25€ × 55%). Quindi (1.728.000 / 1000) × 0,69€ = 1.192,32€. Dai, si è pagato un po’ di affitto. Ma chissà quante prove avrà fatto? Quanti canali in contemporanea avrà creato? È tutto così affascinante in questo millennio. Se ci fosse ancora Vice bisognerebbe andare a casa di Zac in Olanda – se esiste – e farci un pezzo sulla sua vita. Hi, I'm Zac and I create original soothing music + visuals for sleep, relaxation, and studying. Utilizing simple yet potent techniques like Binaural Beats, Ambisonic Audio (immersive 3D/8D Audio), and ASMR textures, along with guided breathing meditations, I gently lead you toward peaceful moments and restful sleep. E per stare sul sicuro, un suo disclaimer: Disclaimer: The content provided on this channel is not a medical/clinical service and does not replace health or mental health professionals. These videos should never substitute professional medical advice. Do not listen while driving or operating machinery of any kind. Cease listening immediately if you experience any adverse effect. Il marketing insegnato dai negozianti Non è come pensate. ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto collettivo di gonzo journalism a cui puoi contribuire senza pietà. No screenshot o inoltri dai social, solo foto tue. Segnalazioni * La scorsa settimana ho parlato della famigerata televendita di Tesla alla Casa Bianca. * Ho scritto un pezzo per Il Post e, apparentemente e inspiegabilmente, parla di padel (metafora di qualsiasi cosa). * Ho letto 'This is Strategy' di Seth Godin e ne discuto con Giuseppe Stigliano in 45 minuti: tra presunte mucche viola e community che funzionano davvero. Si ascolta con calma qui . That’s all folks! Se ti è piaciuta, inoltrala o stampala sulla stampante condivisa dell’ufficio, qualcuno la raccoglierà. Ah, se stai pensando di supportare questa newsletter, clicca qui . Grazie ancora a Emmaboshi Studio . Se stai pensando a un workshop nella tua azienda o a uno speech al tuo evento, rispondi alla mail. Ci leggiamo venerdì prossimo, gluca Grazie a Daniela Bollini per la paziente correzione e a Cristina Portolano per i separatori. Quiz: A) “Ferrero presenta per la prima volta una limited edition di Kinder Fetta al latte, al gusto mirtillo.” ( fonte ). This is a public episode. If you would like to discuss this with other subscribers or get access to bonus episodes, visit lettera.minimarketing.it…
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Il venerdì di [mini]marketing
![Il venerdì di [mini]marketing podcast artwork](/static/images/64pixel.png)
1 Ho letto 'This is Strategy' di Seth Godin e ne discuto con Giuseppe Stigliano: tra mucche viola e community che funzionano davvero 59:39
In questo episodio del podcast ho avuto il piacere di conversare con Giuseppe Stigliano, autore della prefazione italiana al nuovo libro di Seth Godin, This is Strategy , pubblicato da Hoepli. Abbiamo esplorato insieme il cuore del messaggio di Godin: la strategia non è una serie di risposte facili, ma una continua ricerca attraverso domande potenti e provocazioni intelligenti. Giuseppe ci guida attraverso alcuni concetti chiave, discutendo perché il marketing dovrebbe essere un modo per creare prodotti che le persone desiderano davvero, non soltanto per vendere ciò che abbiamo già. Insieme abbiamo affrontato temi cruciali come l'importanza delle community autentiche, la differenza tra cambiamento e trasformazione, l'importanza della personalizzazione (quella vera), e il rischio di essere "usati" dalle piattaforme digitali. Un ringraziamento speciale va a Hoepli per aver reso possibile questo incontro. Buon ascolto! This is a public episode. If you would like to discuss this with other subscribers or get access to bonus episodes, visit lettera.minimarketing.it…
Questa newsletter non scrive mai di cronaca. È uno dei miei pilastri editoriali – non che li abbia mai davvero definiti, è che penso che di cronaca (e di cronaca di marketing , poi) possiamo al 90% fare tranquillamente a meno. I giornali non saranno d’accordo, ma sono di parte, devono vendere un prodotto tutti i giorni, non possono permettersi di dire “oggi non usciamo perché non c’è davvero niente di così imperdibile”. Ma La Più Grande Telepromozione Della Storia trascende qualunque piano editoriale, e anche il rischio (lo so già) che qualcuno ne abbia già parlato. Ma anche il vantaggio che posso dare per scontato che abbiate capito di cosa si parla. Ma poi – che ci crediate o no, casualmente - lo sponsor di questa settimana è correlato. Grazie a Viaggia Elettrico per il supporto a questa edizione. Sei tra le 25.528 persone iscritte tra qui, LinkedIn , Telegram e WhatsApp ? Grazie, spero che le 4,3 ore per scriverla ti siano state utili. A proposito, che ne dici di promuoverti nella newsletter? Tutte le informazioni qui . Il quiz della settimana Fatto 100 il fatturato 2010, oggi a quanto è il fatturato di TomTom? Risposta, come al solito, in fondo. (Ehi, ti chiedo un attimo di attenzione per lo sponsor, che contribuisce a portare la newsletter puntuale ogni venerdì!) Hai un'auto elettrica, aziendale o privata? Viaggia Elettrico rende la ricarica facile, conveniente e senza pensieri! 🚗 PER LE IMPRESE: più valore, meno tasse! Dotare la tua azienda di colonnine di ricarica significa offrire un servizio premium a clienti, dipendenti e fornitori e, al tempo stesso, beneficiare di un grande vantaggio fiscale . Dal 1° gennaio 2025 (nuovo Fringe Benefit), è cambiata la tassazione per le auto aziendali a uso promiscuo: ✔️ Auto tradizionale: tassazione al 50% (perdita di 1.500€/anno in busta paga)✔️ Plug-in hybrid: tassazione al 20% (perdita di 600€/anno)✔️ Elettrica: tassazione al 10% (perdita di soli 300€/anno!) 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Per quanto presentata come “breaking”, era impossibile non notare come fosse stata al 100% ininfluente e irrilevante su quello che sarebbe poi successo in seguito. Questa settimana però è successa una cosa che non si vede tutti i giorni, almeno non nella realtà (“Black Mirror” non vale). Cosa può succedere di più contemporaneo, allucinatorio, al confine tra il deep fake, l’AI e il branded content di una (tele)vendita di un’auto nel cortile della Casa Bianca, in diretta? Non volevo che magari nelle rovine di questa newsletter, recuperate magari da archeologi digitali in una post-società futura sul modello Idiocracy, non ne rimanesse traccia. Dunque ero lì, casualmente sintonizzato sul mio canale all-news preferito (in realtà, è il canale di default in cui si accende il mio Samsung, e non so come si cambia, e mi va bene così) che è France 24, nell’edizione in inglese. Ebbene, ci sono due tizi davanti a una Tesla rossa, il commentatore francese in un riquadro li guarda con un sorriso irrispettoso. I tizi sono Trump e Musk (T. e M.). Ho pensato che circolasse un altro di quei video fatti benissimo con l’AI (ma poveri di fantasia umana) in cui M. e T. si baciano o fanno altre cose. E invece no, era tutto vero. Ne sono rimasto incantato. Devo chiarire che io sono cresciuto con le televendite in tv e ne sono affascinato ancora oggi. In Emilia si vendevano scarpiere, mandando corrieri e cassette VHS in giro per le tv locali. Qualcuno ricorda Amerika Star, forse. Ci feci anche un micro-post, molti anni fa. Era un post crepuscolare, su di un mondo al tramonto. In realtà, adesso la televendita si è disciolta e infiltrata in qualsiasi cosa. Nei TikTok di chi vende o tratta in diretta o in finta diretta, nelle live su Instagram e Facebook, e alla fine – perché no? – alla Casa Bianca. M. e T. sembrano davvero due venditori di auto usate: nelle trattative c’è spesso il poliziotto buono e quello cattivo, il venditore A che vorrebbe fare lo sconto e il venditore B (di solito il superiore) che dice che non si può fare, per poi dare al compratore l’idea di aver strappato infine quello sconto come un traguardo sudato. Ma è solo un teatrino, ovviamente. T. elogia lo sforzo, quanto sia americana la Tesla, e come in una vera televendita snocciola perfino caratteristiche tecniche. “È un computerone!” dice guardando il pannello di bordo. Anche se sembra “una scimmia con un iPad” come dice Jimmy Kimmel nel suo “Late Show”, il venditore che è in T. lo rende credibile per chi crede in lui . A noi altri invece sembra di vedere un Claudio Lippi ai tempi della Gialappa, ha perfino un foglietto in mano con i prezzi di vendita (e perfino dei finanziamenti!) da recitare a favore di telecamere. Ma non facciamo testo. La faccenda, dal punto di vista del marketing, meriterebbe una tesi universitaria. Ma cercherò di farla più breve. In prima battuta, perché fare questa televendita? Perché le cose vanno male , viene da dire. Nei regimi totalitari, più i bollettini di guerra sono trionfalistici, più significa che le cose si mettono al peggio. Ma forse non è questo, o non solo questo. Affrontare con la strategia le mosse di T. e M. è come “giocare a scacchi con un cinghiale”, ha scritto qualcuno. E quindi vai a sapere. Io credo che sia più probabile che i due abbiano pensato che fosse una buona idea di marketing, indipendentemente dalla situazione delle vendite di Tesla. E, un po’ mi spiace dirlo, non hanno tutti i torti. La logica di T. è estrarre valore da ogni cosa in cui può essere estratto, meglio se a gratis, comunque a saldo positivo. Auto, Groenlandia, Ucraina, non importa, la logica è mercantile. E la figura del Presidente degli USA, dal punto di vista del modello dell’influencer marketing, è un’estrazione di valore a costo zero, è come trovare un giacimento di diamanti intonso. Certo, lede un po’ la reputazione della Presidenza in sé e di certo mille norme morali e legali di concorrenza e conflitto di interessi, ma se questa ipotesi fosse ancora valida in questo mondo Trump non sarebbe lì. Nella sua testa, il favore a M. non costa niente e vale un sacco, e quindi sarebbe stato uno spreco non farlo. Anche perché l’uomo T. ragiona per favori da incassare, e ora ne ha un altro a credito. Insomma, siamo davanti a un caso unico di telepromozione con endorsement presidenziale inserito al centro dell’attenzione mediatica globale. Quanto sarebbe costato un product placement simile in diretta nazionale? Impossibile dirlo. Certo ben più di qualche spot del Superbowl, e poi così, girato dal vivo, con quel pathos tra discesa degli alieni in diretta e il cringe fuori scala che rendeva l’attenzione impossibile da distogliere. Studi sul product placement indicano che la collocazione in contesti emotivamente coinvolgenti può far crescere il riconoscimento del marchio fino al 20-40%. Cosa sicura: essere protagonisti di un evento così “virale” genera un effetto alone positivo, in cui la popolarità dell’evento/figura si trasferisce sul prodotto. L’associazione con la Presidenza USA e la cornice istituzionale conferisce al marchio un’aura di legittimazione mainstream mai vista, soprattutto per un brand che non ha mai fatto pubblicità (e potrà continuare a sostenere di non averla mai fatta). La notorietà non fa mai male, è un fatto che mio malgrado ho dovuto accettare, a meno che il bug non sia nel prodotto stesso. È un peccato che il bug di Chiara Ferragni sia in lei in quanto prodotto di sé stessa, perché, con l’esposizione mediatica che ha avuto, oggi sarebbe ancora più popolare. Ma Tesla non è buggata, è un’ottima scelta per qualità/prezzo. E però questo è un cambio in corsa di posiziomento, una cosa mai vista prima. L’endorsement pubblico di Trump “mi sono comprato una Tesla”, per quanto improbabile da credere, ha ridefinito la percezione di Tesla di colpo: da brand per californiani o new englandesi urbani ricchi e sensibili a oggetto da maschi alpha basic veri americani . Ora Tesla è sdoganata in fasce di pubblico nuove, in particolare tra i consumatori conservatori che sanno di avere il supporto di Trump. E diventa un oggetto maledetto per i primi. Già al tempo dell’acquisto di Twitter il gradimento del brand Tesla a sinistra (la sinistra americana, quella che in Italia sarebbe sì e no centro) era crollato dal 25% al 10% in un mese, mentre era salito tra i conservatori dal 20% al 26%. Vista così, mancavano circa nove punti di saldo netto all’appello, eppure le vendite di Tesla continuavano a crescere. Bisognerebbe capire quanto le percentuali di gradimento sono “appelli morali” o “preventivi di acquisto”. Se sono cittadini che viaggiano con i mezzi pubblici, o gente del Midwest che non vive senza quattro ruote, fa la differenza. I sondaggi non fatturano. Eh, ma l’impatto sul brand? vi sento mormorare. Parentesi preliminare: (noi) buoni siamo quelli che hanno iniziato di proposito a voler confondere l’idea con il prodotto, l’attore con la persona, il libro con lo scrittore. LA PURPOSE! Ogni prodotto ha oggi significati terzi, è una testimonianza di appartenenza, perché l’abbiamo voluto noi. Nel caso oramai di studio, Nike nel 2018 scelse come testimonial l’attivista atleta Colin Kaepernick, attirandosi critiche da parte di Trump e appelli al boicottaggio da consumatori conservatori. Nonostante i video di utenti che bruciavano prodotti Nike, l’esposizione e l’apprezzamento del pubblico progressista portarono benefici tangibili: nei dieci giorni successivi alla campagna, Nike vendette online il 61% in più. È che l’attivismo dei brand ci piace solo quando siamo d’accordo. M. e T. stanno facendo attivismo consumistico, come tanti brand e influencer prima della sua elezione facevano branding con l’inclusività, la sostenibilità, eccetera eccetera. Solo al contrario di quanto eravamo abituati. Quindi molti ora si trovano a dover guidare Tesla comprate con un significato morale e trasformatesi in una testimonianza politica contraria, tanto da dover attaccare un adesivo con cui si autocertifica “che è stata comprata prima che M. diventasse questo M.”. Ora, T. in versione influencer marketing funziona (e come possiamo negarlo noi del marketing, che ci investiamo cifre folli?). T. non è nuovo a questi mix con prodotti e brand. Un esempio fu Goya Foods nel 2020: il CEO dell’azienda elogiò Trump in un evento alla Casa Bianca, scatenando l’hashtag #BoycottGoya tra i consumatori latino-americani e progressisti. In parallelo però i sostenitori di Trump lanciarono #BuyGoya, generando un aumento di acquisti di compensazione. L’analisi delle vendite mostrò che il “buycott” dei sostenitori ebbe la meglio sul boicottaggio, portando a un balzo del +56% delle vendite nelle contee fortemente repubblicane e un +22% di vendite complessive nelle due settimane successive. Nel caso di Tesla, non mi stupirei di un picco di prenotazioni nei giorni successivi. Oggi il “#buycott” (acquisto per supporto ideologico) e il #boycott vanno sempre assieme. Precisazione: non credo ai boicottaggi commerciali, tantomeno nell’epoca dei social. Credo che alla fine regalino più visibilità che danni al boicottato. Perché a) le persone non fanno poi quello che dicono, cioè in buona parte comprano nonostante dicano il contrario, e b) quello che dicono di boicottare invece produce awareness. È un mio pensiero molto personale, altri la pensano al contrario: probabilmente dipende dal brand e dalla nazione. Tesla è ovviamente un acquisto più complicato e intrinseco di un taco di Goya Food, in cui la politica e l’ambientalismo avevano un peso rilevante. Ma anche l’innovazione, il turbo capitalismo digitale, il culto, la community (vedi il mio articolo) avevano un peso. L’acquisto “di testimonianza” non è detto sia maggioritario. C’era una Tesla perfino in Succession, del resto. Se gli effetti netti della televendita sono ancora da vedere negli States, in cui gran parte dei veicoli elettrici era Tesla, il luogo in cui M. si è fatto ormai terra bruciata attorno è in Europa. Già Tesla da noi era per una piccola nicchia di super-motivati medio ricchi , ed è stato facile smarrirli con saluti nazisti ed endorsement a partiti impresentabili. I suoi nuovi amici politici, al volante sono invece tendenzialmente nostalgici del fumo diesel e del motore termico rumoroso, e tra l’appartenenza politica e l’appartenenza motoristica non c’è gara. La più importante è senza dubbio la seconda. Il marketing insegnato dai negozianti La discriminazione è la base del marketing, la “piega didattica” è genio e basta. ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto gonzo-collettivo a cui puoi contribuire senza pietà. No screenshot o inoltri dai social, solo foto vostre. Segnalazioni * La scorsa settimana ho parlato di trovare i competitor con il metodo della cipolla . * Ho scritto un pezzo per Il Post e, apparentemente e inspiegabilmente, parla di padel (a cui non gioco, ma potrei). * Sono online tutti i video della serie su ecommerce, AI e retail digitale , girati in collaborazione con Tailoor. That’s all folks! Se ti è piaciuta, inoltrala o stampala sulla stampante condivisa dell’ufficio, qualcuno la raccoglierà. Ah, se stai pensando di supportare questa newsletter, clicca qui . Grazie ancora a Viaggia Elettrico . Se stai pensando a un workshop nella tua azienda o a uno speech al tuo evento, rispondi alla mail. Ci leggiamo venerdì prossimo, gluca Grazie a Daniela Bollini per la paziente correzione e a Cristina Portolano per i separatori. Quiz: c) 38% ( fonte ). Nel 2010, TomTom ha registrato un fatturato di 1,52 miliardi di euro. Nel 2023, il fatturato è stato di 585 milioni di euro. This is a public episode. 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L’analisi dei competitor è una delle attività di marketing più diffuse, dal livello universitario fino alle big four della consulenza, ma credo che spesso siano sbagliate. Vi propongo l’umile metodo della cipolla. Grazie a Breatheam per il supporto a questa edizione. Sei tra le circa 25.000 persone iscritte tra qui, LinkedIn , Telegram e WhatsApp : grazie, spero che le 3,3 ore per scriverla ti siano state utili. A proposito, che ne dici di presentare il tuo brand nella newsletter come ha fatto oggi Breatheam ? Dai un’occhiata per sponsorizzare nel 2025 . Il quiz della settimana Qual è la percentuale di persone di sesso maschile che in Italia utilizzano prodotti cosmetici per il corpo almeno una volta a settimana? Risposta, come al solito, in fondo. (Ehi, ti chiedo un attimo di attenzione per lo sponsor, che contribuisce a portare la newsletter puntuale ogni venerdì!) Non la solita mindfulness Ciao 👋 Sono Emilio Dal Bo e voglio parlarti di Breatheam.com : è il percorso di respirazione e meditazione specifico per manager e professionisti , composto di pratica a distanza ed esercizi per ritrovare la concentrazione, ridurre la tensione e trasformare la pressione in energia positiva. Dopo anni nel marketing, e dopo un lungo soggiorno in India dove mi sono certificato come breath-coach , sono convinto di aver trovato una formula efficace, inedita e lontana dal misticismo che spesso ammanta le proposte che si trovano in giro. Ecco quello che dicono su TrustPilot : * Elisa : Il tempo con lui è speso benissimo, dopo ogni incontro mi sento rinata. * Maurizio : Emilio mi ha insegnato tecniche di respirazione e meditazione che ho integrato nella mia routine quotidiana. Mi stanno aiutando a gestire meglio l’ansia e lo stress. Ti va di fare una call senza impegno con me? Per chi legge questa newsletter, poi, la prima seduta del percorso sarà in omaggio : un’occasione per scoprire se questo percorso è la svolta che cercavi. PS: ho anche una newsletter, Trasumanare . È gratuita! Ogni settimana condivido consigli di life hacking per trasformare la tua vita o riflessioni schiette e audaci che saranno il tuo trigger mentale di nuovi pensieri innovativi. Anche Gianluca Diegoli è iscritto :) I competitor non sono chi pensi davvero, spesso Chi è il vostro competitor? O meglio, chi sono , perché se pensate di averne uno solo o siete fortunati (in quanto appartenenti a un duopolio, ma è caso rarissimo) oppure più probabilmente soffrite di sindrome persecutoria, in cui ci sarebbe un competitor che ha deciso di distruggervi, ecc. ecc. Questo caso è frequente: una volta ho visto un intero budget sprecato sul far “stare sotto” nei risultati di Google una particolare azienda rivale, la nemica giurata dell’imprenditore-patriarca. Era in corso una faida cinquantennale, che si ripeteva nel tempo sempre con mezzi diversi, adeguati ai tempi (prima nelle affissioni, poi in radio, poi perfino in TV locali), e ora si combatteva ovviamente a chi aveva più follower con grande gioia di tutti i venditori di servizi e pubblicità. Non dirò nulla invece del caso di chi pensa di non avere competitor: di solito sono idee solo sulla carta, oppure casi psichiatrici gravi. Assodato che dobbiamo avere più di un competitor, anche perché un po’ di competizione e di sovrapposizione di comunicazione lavora comunque per ampliare il mercato, dobbiamo capire chi sono. Qui si dividono le strade del metodo dilettante e del metodo professionista. Il primo analizza chi produce le stesse cose (ovvero quanti atomi hanno in comune i due prodotti), a vari livelli. Cosa c’è dentro è il livello zero dell’analisi. Il Lugana A è competitor del Lugana B. Il Lugana A è competitor del Gewürztraminer. In quanto vino profumato è competitor degli altri vini bianchi. In quanto vino bianco fermo è competitor dei frizzanti. I bianchi sono competitor dei neri. Il vino della birra. Il mercato degli alcolici da pasto con gli analcolici. Tutti competono con l’acqua, dopo i decreti sulla sicurezza stradale. Chi produce Lugana pensa normalmente di competere con altri produttori, ma è quasi sempre un’analisi sbagliata, o quantomeno molto parziale. I due vicini di vigneto si confronteranno pensando a prezzo, recensioni, sapore, fino ad arrivare al fatto che la siccità ha colpito più il Garda occidentale che quello orientale, e quindi il “concorrente” ha venduto di più. Questo spesso è anche il modo di pensare di chi studia all’università. Il metodo professionista ragiona in modo diverso. La concorrenza dipende solo minimamente dalla composizione e dalla funzione di uso in senso stretto, e molto di più da opportunità di consumo, distribuzione, momento di uso, good enough, conoscenza superficiale. Sa che ci sono quattro pilastri non ovvi: * I clienti ci pensano molto meno di quanto pensiamo. Ne sanno ancora meno. * La base clienti è come una cipolla. I nostri clienti sono stratificati, e molto diversi. La stragrande maggioranza (80%) è proporzionale alla superficie esterna della cipolla, e quanto a profondità di interesse nell’acquisto guarda appena la buccia (l’etichetta) e poco altro. Qualcuno negli strati medi (15%) può spiccicare parole come “È noto per i suoi aromi freschi e floreali, con note di frutta a polpa bianca e agrumi”, e forse il 5% del totale è composto dai clienti che ne sanno di noi, in grado di apprezzare le nostre disquisizioni sulla qualità intrinseca e i temporali su Desenzano vs Sirmione. * La maggior parte del mercato non sa che esiste la cipolla e/o non gli interessa. * Il maggiore competitor di qualsiasi azienda è il non-acquisto, l’inerzia, lo status quo. Per ognuno dei tre strati della cipolla avremo, in effetti, competitor diversi. Lo strato esterno ci metterà a confronto con qualunque vino bianco gli proponga il ristorante. Quello intermedio con i bianchi fermi aromatici. Il nocciolo della cipolla confronta annate e cantine. Ci piace pensare che i nostri clienti in toto condividano il nostro sforzo per la qualità intrinseca. Ed ecco allora che pensiamo che il nostro competitor sia la cantina di fronte, come la startup qualsiasi pensa che il suo competitor sia quello che fa la stessa-identica-cosa dall’altra parte del globo. Non è così, o meglio, è così per una piccolissima parte dei nostri clienti. Dobbiamo calcolare caso per caso quanto è grande il nocciolo della cipolla, senza farci illusioni. Più il nostro strato di clienti “esterni” è spesso (e/o più vogliamo espanderci), più il nostro competitor sarà tutto il mercato, inteso in senso ampio, a cui apparteniamo, e di solito il competitor da tenere d’occhio sarà il leader di mercato di quell’ambito. Il benchmark sarà da fare con lui, anche se ci sanguina il cuore. Teniamo conto che, per quanto controintuitivo possa essere, spesso il nocciolo duro della cipolla non è nemmeno la parte di clienti più fedele e/o profittevole. A volte sono solo dei grandi rompiscatole boriosi. Per dire, un piccolo servizio di consegna a casa di frutta e verdura biologica penserà che il suo competitor principale sia Cortilia. E invece nel 90% delle volte sarà, se non altro per (mancanza di) consapevolezza delle alternative, Esselunga o Coop (online e offline). Cosa significa davvero competitor? Significa quelli che sono arrivati in finale nel percorso di acquisto contro di noi. Nella maggior parte dei casi non arriviamo in finale con la cantina B del Lugana, né con Cortilia, ma con qualsiasi vino bianco e qualsiasi servizio di consegna della spesa. Perché i leader generalisti hanno dalla loro parte la statistica, i grandi numeri, la conoscenza del brand e la non conoscenza del dettaglio, della minuzia da parte della maggior parte degli utenti. Quindi, la prossima volta che fate un’analisi competitiva, pensate alla cipolla. Ho fatto anche una comoda infografica. PS: non so niente di Lugana, e nemmeno di vino. Ma neanche voi. Il marketing insegnato dai negozianti Honestà! (di Ambra C.) ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto gonzo-collettivo a cui puoi contribuire senza pietà. No screenshot o inoltri dai social, solo foto vostre. Segnalazioni * La scorsa settimana ho parlato di (e se) fare marketing fuori dalla bolla delle piattaforme . * Ho scritto il mio primo pezzo per la sezione Storie/Idee de Il Post e, apparentemente e inspiegabilmente, parla di padel (a cui non gioco, ma potrei). * Sono online tutti i video della serie su ecommerce, AI e retail digitale , girati in collaborazione con Tailoor. That’s all folks! Se ti è piaciuta, inoltrala o stampala sulla stampante condivisa dell’ufficio, qualcuno la raccoglierà. Ah, se stai pensando di supportare questa newsletter, clicca qui . Grazie ancora a Breatheam . Se stai pensando a un workshop nella tua azienda o a uno speech al tuo evento, rispondi alla mail. Ci leggiamo venerdì prossimo, gluca Grazie a Daniela Bollini per la paziente correzione e a Cristina Portolano per i separatori. Quiz: c) 35% ( fonte ). This is a public episode. If you would like to discuss this with other subscribers or get access to bonus episodes, visit lettera.minimarketing.it…
Quelli seri scriverebbero che è una trilogia: ho scritto tre post sull’attenzione e su come averla al minor prezzo possibile, che è uno dei modi più semplice per descrivere la P di promozione del marketing. Dopo il FantaSanremo e il sistemone di engagement e loyalty (come TIM Party), oggi tocca al marketing fuori dal duopolio. E dall’influencer marketing. Grazie a Ecommerce School – prima scuola di formazione e agenzia ecommerce in Italia – per il supporto a questa edizione. Sei tra le circa 25.000 persone iscritte tra qui, LinkedIn , Telegram e WhatsApp : grazie, spero che le 3,8 ore per scriverla ti siano state utili. A proposito, che ne dici di presentare il tuo brand nella newsletter come ha fatto oggi Ecommerce School ? Dai un’occhiata per sponsorizzare nel 2025 . Il quiz della settimana Neinver, uno dei principali operatori di outlet in Europa, ha fatto segnare uno scontrino medio per visitatore nel 2024 di: Risposta in fondo. (Ehi, ti chiedo un attimo di attenzione per lo sponsor!) A che punto è il tuo e-commerce? Che tu stia cercando di lanciarne uno nuovo o voglia scalare verso nuovi mercati, capire il livello di maturità digitale della tua azienda è fondamentale, per non sprecare tempo e risorse. Per questo ecco un Test di Maturità Digitale che ti posizionerà in uno di questi quattro profili: * Hai un brand forte ma il canale e-commerce è ancora da costruire * L’ e-commerce esiste ma fatica a crescere * Il tuo canale digitale funziona ma vuoi aumentare significativamente il ROI * Hai un e-commerce maturo e cerchi strategie di scaling Scoprirai quali sono i tuoi punti di forza e le azioni per il tuo livello di sviluppo. Per chi legge [mini]marketing è disponibile una consulenza gratuita con un tutor: un'occasione per valutare l’evoluzione digitale della tua azienda e le sue specifiche esigenze. E per chi vuole accelerare davvero, Ecommerce School propone il Master Executive in Ecommerce Management : parte il 14 marzo 2025. È un percorso con focus su strategia, tecnologia, processi, marketing, growth e scaling. Fare marketing fuori dalla bolla Quanto spendiamo fuori dalle piattaforme come Meta e Google e dall’influencer marketing? A parte quella manciata di brand che va in TV e radio con regolarità, o quelli che fanno i grandi concorsoni, o un’altra parte di brand che spende in costi di vendita verso Amazon, probabilmente meno del 10%. Prendetela come mia stima a braccio. Oggi l’ottanta per cento va in quello che possiamo misurare facilmente (ROAS, sei tu). O che (spesso) ci cura dalla FOMO (influencer marketing), nostra o di chi ci sta sopra. L’allocazione di budget verso social ads/influencer spesso risponde a pressioni dell’effetto gregge (herd mentality) anziché a una strategia data-driven. La storia economica funziona per bolle (la mia speranza è che anche la politica segua il trend). L’economista Hyman Minsky ha descritto il ciclo delle crisi finanziarie con la teoria della Financial Instability Hypothesis, che identifica le fasi della speculazione: dal displacement (un’innovazione che attira l’attenzione degli investitori), alla boom phase (quando i prezzi salgono esponenzialmente e il pubblico entra in massa), fino alla euforia irrazionale data dal cosiddetto “denaro gratis”, quei continui aumenti di valore dei titoli acquistati che a loro volta fanno reinvestire ancora più soldi, e al successivo crash, quando qualcuno fa “profit-taking”, che precede il panic stage e il crash finale, in cui qualcuno rimane con il cerino in mano. La storia dell’advertising non fa (molta) differenza, salvo che tra bitcoin e pubblicità io investirò sempre in pubblicità, che è un umile e immortale scarafaggio, si sa. Le piattaforme digitali e gli influencer tradizionali mostrano secondo molti (e un mio vecchio post ) segni di sopravvalutazione analoga alle bolle finanziarie, con costi crescenti che ne abbattono il ROI effettivo anno dopo anno. C’è nel prezzo a CPM un sovrapprezzo di duopolio (Meta e Google fingono di competere), c’è un sovrapprezzo di filiera (il 50% degli investimenti in ads programmatici viene assorbito dai costi degli intermediari, con tracciabilità spesso limitata e frequenti problemi di qualità del placement). Famigerata la storia di eBay, in cui al taglio di venti milioni di dollari di ads sulla keyword “eBay” non è corrisposto una riduzione né di traffico, né di conversioni, o quella di JP Morgan, che tagliò 5.000 siti su 12.000 nei quali finiva la pubblicità per problemi di reputazione di questi. Non aiutano le regolamentazioni sulla privacy (es. GDPR) che stanno dalla parte del cookie-paurosizzato abitante europeo (che probabilmente dovrebbe avere più paura di Putin), e l’ad-blocking sta erodendo l’efficacia residuale degli ads tradizionali, e quello che funziona, appunto, costerà. C’è un disclaimer da fare: chi ha vissuto la bolla dot-com del 2000 è un po’ troppo predisposto a vederne altre: una specie di venuta messianica al contrario. E io forse sono tra questi. Detto questo, oggi è ora di uscire dalla bolla. Sì, ci sono tanti svantaggi nel farlo. La bolla è confortevole: puoi dare la colpa alla AI se qualcosa non funziona nel targeting, produce risultati costosi ma misurabili (e – lo dico sempre – il marketing aborre l’incertezza proprio perché tratta della cosa più incerta esistente: le persone) e ci rende uguali agli altri. Nessuno viene licenziato perché è uguale agli altri. Almeno nel 99,99% dei casi. Solo il nostro famigerato Elon licenziò l’intero ufficio marketing di Tesla dopo qualche mese perché, sostenne, la pubblicità prodotta era uguale a quella degli altri. Ogni tanto anche l’orologio rotto, ecc. ecc. C’è il problema principale: fuori dalla bolla niente è scalabile. Siamo in quattro gatti è la frase che ho ascoltato e pronunciato più spesso nella mia storia professionale. Non so, magari la dice anche chi lavora in amministrazione, ma credo che nel marketing italiano sia particolarmente pressante come problema. E del resto in pochi Paesi come in Italia ci si rivolge così tanto alle agenzie per fare qualunque cosa. Ci sono solo l’unicità e l’antifragilità in palio. Quindi, a vostro rischio e pericolo, da dove partire in questa ricerca di vita fuori dalla bolla? Non dalle agenzie (scusate agenzie), almeno non da subito. Il rischio è la guerriglia sull’asfalto, che può essere un’idea finale, ma non la partenza. Io userei alcuni sentieri di esplorazione. * vita quotidiana del nostro target fuori dal brand ( la gente ci pensa molto meno di quanto pensiamo , e il customer journey e il targeting fatto strategicamente servono ancora eccome, anche al tempo di Performance Max ecc.). * valore da offrire che abbiamo dimenticato a magazzino (o di cui abbiamo materie prime disponibili a basso costo). Come quando Vodafone offre le colonnine di ricarica del cellulare in aeroporto, come concetto. * vita delle comunità locali in cui le persone abitano (e oggi secondo me è più urgente fare piani Diversity-Equity-Inclusion di plastica, almeno in Italia). * spazi (vuoti) di altri brand nella stessa cliente-sfera: retail media de’ noantri, insomma. Shopify ha una lista interessante. * contenuti di chi non li produce per soldi e basta. Non solo roba glamour, può essere una radio locale low-cost (anche se spesso costano un occhio, lo so) o una fanzine (non lo scrivevo da un po’) o una newsletter di nicchia. Campi di skateboard fatti di cemento low-cost? Campetti di basket da sponsorizzare al costo della vernice? Sono comunità molto più coese del calcio, e meno problematiche nell’associare il brand. Content marketing vero? Cioè pagando gente che ne sa davvero per insegnare cose alla vostra audience, oppure offrire template, calcolatori, ecc.? Gli sponsor di questa newsletter con i migliori risultati di clic hanno usato questi strumenti. Un laboratorio di ceramica solidale da regalare ai vostri clienti in bundle al posto del solito concorso scemo ? Arredamenti sponsorizzati di locali di comunità o locali frequentati? Cacce al tesoro ma sensate, come sponsorizzare-organizzare bonifiche di giardini pubblici o simili? Pagare street art partecipate dalla comunità in muri e zone “brutte”? Pagare l’albero di Natale, non solo in piazza Duomo, ma anche a Corvetto? Il problema, l’avete già in mente prima di me, è “come giustifico?” e “come misuro?”. Di sicuro posso misurare il costo a contatto, ma poi con cosa lo confronto, con la visualizzazione di TikTok e Instagram da (forse) un millesimo di secondo? Io consiglio di raccogliere email (o cell o WhatsApp consent) come KPI intermedio, solitamente. E poi vedere quanti si trasformano in clienti nel medio periodo. Si possono fare anche interviste, per capire il sentiment e l’intenzione verso il brand di almeno un campione di persone, e poi estrapolare l’impatto sul numero di contatti. Capisco, capisco, calma! Troppo sbatti. Lo sappiamo, lo so. Però per un 10% di budget (almeno come test) fuori dalla solita bolla del duopolio non è mai morto nessuno. Magari possiamo trovare esterne che ci diano una mano professionale (richiamate l’agenzia, a questo punto, e dite “no guerrilla prefabbricata”) per confrontarsi con le occasioni fuori dalla bolla, che spesso sono gestite da (professionalmente) scappati di casa. Fatemi sapere. Dopo il 60% vs 40% (brand+influ vs performance) di Binet & Field (che mi bullo di aver importato in Italia), potremmo fare 50/40/10, dove 10 è la riga “fuori dalla bolla del budget”. Il marketing insegnato dai negozianti Adoro il display in tempo reale, come a Wall Street. ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto gonzo-collettivo a cui puoi contribuire senza pietà. No screenshot o inoltri dai social, solo foto vostre. Segnalazioni * La scorsa settimana ho parlato dei megaprogrammi fedeltà ed engagement, come TIM Party, e dei loro pro e contro. * Marta Impedovo de Il Post mi ha chiesto alcune cose sulla mania di fare (o non fare) le code, in questo mondo sottosopra di motivazioni di consumo. Un articolo particolareggiato. * È uscito il mio editoriale per Tendenze: parlo della fine dell’età dell’oro (per l’ecommerce) . * Con Giuseppe Stigliano commentiamo il marketing contemporaneo usando come scusa il libro di Seth Godin, Questa è strategia , in un free webinar live su Zoom il 4 marzo alle 16:00 . Ci si registra qui . That’s all folks! Se ti è piaciuta, inoltrala o stampala sulla stampante condivisa dell’ufficio, qualcuno la raccoglierà. Ah, se stai pensando di supportare questa newsletter, clicca qui . Grazie ancora a Ecommerce School . Se stai pensando a un workshop nella tua azienda o a uno speech al tuo evento, rispondi alla mail. Ci leggiamo venerdì prossimo, gluca Grazie a Daniela Bollini per la paziente correzione e a Cristina Portolano per i separatori. Quiz: a) circa 25 euro ( fonte ). This is a public episode. If you would like to discuss this with other subscribers or get access to bonus episodes, visit lettera.minimarketing.it…
Continuo a parlare di attenzione dopo la newsletter della settimana scorsa sul Fantasanremo. L’attenzione chi non ce l’ha se la compra o, come TIM, prova a crearsela da solo, in modo da ottenere vari obiettivi. Quali? Non l’ho mai capito: provo a decodificarli in questa puntata. Grazie a Hoepli – editore specializzato in tecnologia e marketing – per il supporto particolare a questa edizione. C’entra Seth Godin, e ho detto tutto. Sei tra le circa 25.000 persone iscritte tra qui, LinkedIn , Telegram e WhatsApp : grazie, spero che le 3,8 ore per scriverla ti siano state utili. A proposito, che ne dici di presentare il tuo brand nella newsletter come ha fatto oggi Hoepli ? Dai un’occhiata per sponsorizzare nel 2025 . Il quiz della settimana [in collaborazione con Hoepli ] Il vangelo secondo Seth 80. MARKETING STRATEGICO Il marketing è l’arte di costruire un prodotto o un servizio che racconti una storia. Una storia vera, che è familiare e cambia le persone che la vivono. Il primo compito del marketer è trovare un problema e risolverlo , aiutando un cliente ad arrivare dove sta andando. E il secondo, […] è fornire a quella persona una storia da raccontare agli altri. Coinvolgere la rete della comunità. Aiutare quella persona a migliorare il proprio status e la propria affiliazione perché si sta impegnando con gli altri utilizzando la storia che voi l’avete aiutata a creare. Se vediamo il mondo come una rete e il nostro lavoro come un aiuto alle persone che ne fanno parte per connettersi e crescere, la strategia diventa molto più chiara. Seth Godin, Questa è strategia – Hoepli Di Seth Godin si può avere qualunque opinione. Sono tutte accettabili per qualche verso. Puoi criticare l’applicabilità di certe ispirazioni, la base statistica per le sue affermazioni, il fatto che ci lascia sempre un po’ appesi nelle sue meditazioni che sembrano un corano più che una bibbia. Ma questo è anche il suo bello. Di quei guru che si fermano un attimo prima di quella linea rossa che non saprei definire, che divide chi ne sa e chi non ne sa. I suoi libri sono breviari, da aprire a caso, leggere e pensare per un minuto. Poi ributtarsi in quel report PPT da presentare entro lunedì. Secondo me, preso così, questo è un libro interessante. Del libro ne parlo con Giuseppe Stigliano in un free webinar il 4 marzo alle 16:00. Ci si registra qui . Se intanto vi volete portare avanti e volete leggere il libro, il link è nel bottone. Il mistero di TIM Party Per un po’ si è parlato molto di super-app. Ricordate come Musk cominciò a teorizzare di trasformare Twitter in X, proprio come simbolo di app per qualsiasi cosa ? Il suo piano era abbastanza delirante, e non andò da nessuna parte. Non convinse nessuno, e da lì in poi anzi capitò proprio il contrario. Anche Musk avrebbe poi avuto ben altre idee per la testa, e chissà, se gli fosse riuscita quella la storia avrebbe preso una strada diversa. Il destino di diventare una super-app potrebbe riuscire in Occidente solo a WhatsApp, per la sua pervasività e diffusione. Ma non accadrà, un po’ perché Meta ha altri piani, un po’ perché i messaggini sono argomenti critici per il GDPR e meglio non destar i garanti che dormono. Ci sono però altri brand, direi tre, che hanno velleità imperiali, almeno in Italia. Io sono in pratica cliente di tutti e tre. Due di questi partono dalla mobilità, il terzo, ed è il mio preferito, lo ammetto, è nelle telecomunicazioni. Mi tengo Telepass ed Enilive (di recente rinominata) per un’altra occasione. Tim Party (d’ora in poi TP) è qualcosa di intrigante, almeno per me, perché sono anni che cerco di darle un senso, trovandolo a volte, ma più spesso rimanendo sul grande dubbio: lo fanno perché devono farlo, cioè perché magari un megadirettore è innamorato della sua idea o perché è una tradizione che non si riesce più a estirpare? Lo fanno perché c’è qualche Ritorno sull’Investimento che mi sfugge? Se non riesco ad attivare il mio sesto senso “follow the money”, io impazzisco. Dove the money, e questo è il trucco, significa non solo soldi in senso stretto, ma anche vantaggi in termini di fama, notorietà, rassicurazione, egocentrismo, scambio in natura, obiettivi personali nascosti o qualsiasi altra causa junghiana delle singole persone che sono coinvolte in un’attività. E naturalmente dati (anche se il loro valore è molto sopravvalutato). Anche dopo aver scorso la lista TP rimane un mistero. Per chi non la conosce ecco la teoria: Il programma fedeltà TP, attivo dal 2018, rappresenta un pilastro strategico nella politica di customer retention di Telecom Italia, con un'architettura digitale che combina gamification, personalizzazione e dinamiche di fidelizzazione multilivello. L'analisi rivela un ecosistema progettato per incrementare l'engagement attraverso un mix di utility dirette (bonus dati/minuti) e vantaggi indiretti (sconti su terze parti), sostenuto da un modello a cluster che premia l'anzianità di servizio e la multicanalità dei contratti. Dunque è un programma fedeltà. L’impatto sulla conservazione dei clienti esistenti, di fronte a un tale dispiegamento di forze, è secondo me discutibile. Ogni tanto mi regalano qualche mega di traffico, senza sapere che mi hanno già regalato quelli INFINITI, e altra chincaglieria da anni zero (gli SMS) – normalmente oggi tutti i piani hanno più traffico di quanto potresti usarne. E quando si tratta di cambiare operatore, oramai si fa sul prezzo e/o sull’assistenza che (non) hai ricevuto. Nessun programma fedeltà funziona con le commodity, ma sono disposto a essere smentito. In TP ci sono le promozioni su cose che di solito non desideri comprare, o comunque non in quel momento – è la maledizione del co-marketing. Però in effetti a qualche brand manager di gioielli o TV LCD potrebbe fare piacere comparire di fronte al pubblico di TP, chissà, o raggranellare due vendite extra in chiusura di trimestre. TP potrebbe vendere visibilità, anche se probabilmente se fosse solo per questo il bilancio tra costo di acquisizione attenzione e vendita di attenzione (ne ho parlato la settimana scorsa per il FantaSanremo) sarebbe in rosso. Potrebbe ricavare qualcosa anche dall’affiliazione verso i partner (es: Whirlpool o Svinando) ma il risultato è tutto da vedere. “Le partnership B2B2C abilitano la revenue sharing su acquisti scontati”. Si parla di un 5-7% per ogni lavatrice venduta. Un altro motivo potrebbe essere il dato personale: TIM traccia già senza TP l’uso che facciamo del telefono (a livello di consumo banda, chiamate ed SMS) e quindi ci può offrire un servizio più adatto ai nostri bisogni e alla sua convenienza. Per esempio, sapeva probabilmente che io avrei abboccato subito al supplemento 5G, se in offerta. E infatti così è andata. Ma per fare questo upsell basta un buon sistema di marketing automation, cioè una mail, non serve farmi ritornare in TP per poi mostrarmi l’offerta, è inefficiente. E invece quali dati nuovi (e con quale utilità) TIM ricavi dalla mia navigazione in TP mi sfugge. Quindi rimane la parte di giochi a premi, che è la più assurda (per i miei gusti personali, e quindi interessante). Il termine tecnico è “meccaniche gamificate con premi a estrazione istantanea”. Gli obiettivi, se fosse una slide: * Daily Active Users boost tramite eventi domenicali * Habit formation mediante reward calendar * Virality attraverso social sharing dei premi In pratica, devi risolvere giochini che anche un gatto colpendo lo schermo a caso potrebbe farcela. In un minuto devi trovare una parola nascosta, un frutto fuori posto, risolvere un mini-puzzle, di solito in sessanta secondi, quando ne bastano mediamente quindici (e io non sono nemmeno un granché in queste cose). Li chiamano Skill-based mechanics e mini-game interattivi. Ogni domenica vado su TP, e siccome ho vari contratti e vari anni di anzianità, rimango per dieci minuti a tentare per quelle cinque o sei volte, senza farmi vedere da nessuno che mi vergogno. Il loro problema è che la facilità nel risolverli è direttamente proporzionale all’impossibilità di vincerne i premi. Non ho mai – dico mai – vinto nulla. Del resto, so benissimo che il montepremi è UNO smartphone Huawei e vincere è impossibile. Ma oggi se c’è una cosa che ci caratterizza tutti è la visione distorta della probabilità di vincere qualcosa (anche lo scroll social è una lotteria, in effetti) contrapposta alla quantità e al valore della nostra attenzione. Basta questa mia relazione clandestina settimanale con TIM per giustificare tutto questo zibaldone? Only TIM knows. Di certo, quando ci penso razionalmente, mi pare di essere abbastanza scemo. Chissà quanti sono come me ogni settimana. C’è poi l’obiettivo di upsell, certo: per un operatore è oggi fondamentale la fidelizzazione multicanale – cellulare e fibra di casa assieme, perché poi diventa un labirinto inestricabile andarsene. Un manager del CRM scriverebbe per giustificare che “La struttura a cluster crea escalation paths che premiano la tenure con benefit incrementali, incentivano la convergenza fisso-mobile, mitigano il churn tramite lock-in emozionale”. Ma, di nuovo, non basta una buona marketing automation? TP potrebbe costare (una stima) circa due milioni all’anno, forse più. Una nocciolina per TIM, in effetti. I premi sono pagati al 50% dai partner: un concorso TP è anche (soprattutto?) pubblicità. Poi c’è dentro l’eterna mania delle telco di fare cross-selling di altri servizi (TIMVision, TIMFinance). Mi riservo il diritto di non dire nulla su questo. “TP incarna un modello di digital loyalty 3.0 dove la gamification si fonde con precision marketing, creando un circolo virtuoso tra engagement e profitability. L'architettura a cluster moltiplica gli incentivi alla convergenza fisso-mobile, elemento cruciale nella strategia quad-play di TIM. I dati suggeriscono un impatto misurabile sulla riduzione del churn (-18% vs non iscritti) e sull'incremento ARPU (+€2.1/mese).” Tradotto: abbiamo messo su un sistemone complesso che cerca di tamponare il fatto che ogni compagnia fa le stesse cose con gli stessi costi con la stessa qualità percepita. Si dice che chi è iscritto al sistemone se ne va di meno, ma non sappiamo se è una causa o un effetto. Guadagnamo dal sistemone circa due euro in più a utente iscritto. Io però mi chiedo ancora: TP, perché esisti, in realtà? Dimmelo una buona volta. Il marketing insegnato dai negozianti I tempi sono bui, e la frutta ha i suoi guerrieri (di .) ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto gonzo-collettivo a cui puoi contribuire senza pietà. No screenshot o inoltri dai social, solo foto vostre. Segnalazioni * La scorsa settimana ho parlato del FantaSanremo come paradigma della fabbrica dell’attenzione in vendita . * È uscito un mio pezzo per Link , che mi è costato non poco sudore neurale, in cui parlo di prezzi dinamici dei voli e di quelli dei concerti degli Oasis, della rivoluzione francese, di economia comportamentale, di Annie Ernaux e del suo libro Guarda le luci, amore mio , del primo grande magazzino con i prezzi fissi, di equità, di Douglas Coupland, di capitalismo, di dati, dell’algoritmo e della personalizzazione. * È uscito il mio op-ed (ho scoperto questo termine e ora lo uso ovunque) per Tendenze: parlo della fine dell’età dell’oro (per l’ecommerce) . That’s all folks! Se ti è piaciuta, inoltrala o stampala sulla stampante condivisa dell’ufficio, qualcuno la raccoglierà. Ah, se stai pensando di supportare questa newsletter, clicca qui . Grazie ancora a Hoepli . Se stai pensando a uno speech nella tua azienda o al tuo evento, rispondi alla mail. Ci leggiamo venerdì prossimo, gluca Grazie a Daniela Bollini per la paziente correzione e a Cristina Portolano per i separatori. Quiz: c) più di un miliardo ( fonte ). This is a public episode. If you would like to discuss this with other subscribers or get access to bonus episodes, visit lettera.minimarketing.it…
Anni fa scrivevo di Sanremo – molto prima della contemporanea consacrazione come oggetto conversazionale sacro – come “trasmesso in diretta su History Channel”. Poi arrivò Twitter, e con esso la conversazione tra utenti. E con la conversazione arrivarono le folle, ognuna con motivazione diversa. Oggi siamo ben oltre al punto di non ritorno, e cosa meglio del FantaSanremo può illustrare il libero mercato dell’attenzione? Grazie a Digital Pills – società di consulenza specializzata in data activation – per il supporto a questa edizione. Sei tra le circa 25.000 persone iscritte tra qui, LinkedIn , Telegram e WhatsApp : grazie, spero che le 2,8 ore per scriverla ti siano state utili. A proposito, che ne dici di presentare il tuo brand nella newsletter come ha fatto oggi Digital Pills ? Dai un’occhiata per sponsorizzare nel 2025 . Il quiz della settimana Quante tonnellate di carta per uso igienico e casalingo produce il gruppo Sofidel, quello dei Rotoloni Regina, ogni anno? Risposta in fondo. [in collaborazione con Digital Pills] Quante volte salti da una piattaforma all’altra per controllare le performance ? Ti capita mai di avere la sensazione di non avere una visione completa del tuo funnel di conversione? E quanto spesso ti chiedi se stai investendo il budget sui canali giusti ? Abbiamo creato una dashboard gratuita per visualizzare tutti i tuoi dati marketing, permettendoti di: * Avere una visione d’insieme immediata di tutte le performance digitali, eliminando ore di aggregazione manuale e permettendoti di dedicare più tempo all’analisi strategica * Ottimizzare il tuo budget marketing con una vista chiara su ogni canale, identificando rapidamente dove reinvestire per massimizzare i risultati * Conoscere il tuo pubblico attraverso insight demografici, comportamentali e di engagement, per creare campagne sempre più mirate ed efficaci La dashboard è uno strumento essenziale che semplifica il monitoraggio quotidiano delle tue iniziative – uno strumento gratuito che rende i dati finalmente chiari e azionabili. Scarica e implementa la dashboard in pochi click. Il FantaSanremo e la fabbrica dell'attenzione Ci sono frasi tagliate con l’accetta che ricordi a distanza di anni. Una persona mi disse, una volta: tutto quello che devi sapere dell’advertising è che è un mercato basato sull’attenzione, e l’attenzione è nient’altro che una merce. Chi ne ha bisogno la compra da chi ce l’ha, chi la detiene la vende per campare. Ma non basta sapere questo, mi disse. Devi sapere che chi la produce è sempre alla caccia di modi per produrla a un costo più basso, e rivenderla basando il prezzo sui parametri che la fanno sembrare più appetibile, o che danno l’impressione di essere “tanta roba”, pensa alle impression . Chi la compra, ovviamente, cerca di tenere il prezzo basso, e di basarsi sui parametri che fanno comodo a questo scopo. Perché chi compra non è interessato all’attenzione in quanto tale. Gli serve per vendere la propria mercanzia: e quindi cerca di spostare il rischio al produttore di attenzione. Ci siamo inventati l’affiliation, salvo poi intuire che spesso i venditori di attenzione ci stavano fregando anche con questo sistema. Google è Google perché vende attenzione che non è stata prodotta da lui. Google ha solo reso fruibili i miliardi di pagine creati da altri. Facebook e TikTok fanno la stessa cosa, con i post creati dagli influencer e dai creator. Creazione di attenzione da vendere a prezzo alto (perché c’è la salsa della targetizzazione avanzata sopra) ma a basso costo di produzione, perché gli operai del contenuto lavorano a gratis o a partita IVA – per ogni Giulia Valentina (peraltro pagate dai brand e da collateral da TV ed editoria) ci sono decine, centinaia di migliaia di creator spiantate, lavoratrici part-time della piattaforma. Spesso chi ha bisogno di attenzione si arrangia con mezzi propri, cercando di non passare dai venditori di attenzione: si fanno concorsi a premi, si fa content marketing, branded content, e tutte quelle pratiche che abbiamo descritto come “ogni brand deve essere un media”. Cioè deve crearsi in proprio la fabbrica dell’attenzione. Cosa affascinante, ma che quasi mai funziona, perché chi è specializzato in produrre prodotti difficilmente è bravo a produrre attenzione, e viceversa. Oggi quindi chi vende attenzione cerca di scambiarla con qualcosa di simile alle note perline e specchietti per cui i nativi americani vendevano chilometri quadrati di terre ai primi coloni americani. Deve trovare lo sweet spot in cui miracolosamente le persone si appassionano, rimangono appiccicate, in cambio di qualcosa che non costa nulla produrre. Bravi tutti a produrre attenzione con il budget di Netflix, o di Hollywood, o anche di un giornale tradizionale, che nonostante tutto qualche euro ad articolo deve pur pagarlo. Per molti anni negli uffici della new economy ho resistito al fantacalcio, sia in quelli primigeni in formati analogici, sia nelle versioni digitali, prima macchinose e grassroot, poi sempre più pettinate, facili e professionali. Resisto da sempre anche al fantabasket, che però mi è sempre parso non interessare così tanto gli appassionati di pallacanestro. E poi è arrivato il FantaSanremo e, nonostante il mio disinteresse per la musica trasmessa in occasione del festival, il fenomeno è tracimato nella sociologia, e tutto quello che tracima nella sociologia prima o poi finisce monetizzato dal marketing. In linea con quella che è la linea vincente del festival degli ultimi anni – riuscire a tenere attaccati alla manifestazione contemporaneamente quelli a cui piace davvero, quelli a cui piacciono la compagnia e la conversazione, e quelli che lo usano per sentirsi superiori – anche il FantaSanremo ha seguito la stessa traccia. Il FantaSanremo è sicuramente la startup di successo più rapido della storia italiana, passata in cinque anni da zero a un milione di fatturato, con zero dipendenti. Il segreto non così segreto è vendere attenzione senza sostenere costi. Senza costi perché la parola “Sanremo” non è sotto copyright, e nemmeno “fanta-qualcosa”, nessuna royalty. Perché il festival è costruito, pubblicizzato, trasmesso e pagato da altri: il FantaSanremo sta sulle spalle dei giganti, sperando che il gigante non si scrolli prima o poi. Ma anche al gigante fa comodo una grattatina sulle spalle, ogni tanto. La simbiosi di business, come lo squalo a cui fa comodo il pesciolino che gli toglie i parassiti. Ma niente costi soprattutto perché siamo un Paese di giocatori da divano. Certo, non l’unico, probabilmente. Ma solo noi abbiamo Sanremo, o quasi. Giochiamo con il telecomando, con i pronostici sulle partite, con il lotto, con la schedina, con i quiz televisivi e con la borsa. Giochiamo per dimostrare di aver capito il mondo meglio degli altri, per il brivido della scommessa senza soldi, per poter dire “io l’avevo detto” il giorno dopo. Il FantaSanremo prende tutto questo e lo mette sull’unica vera riunione plenaria degli italiani. Il festival è l’unico evento che, per una settimana, ferma il Paese in un modo che neanche il calcio riesce a fare: perché Sanremo non divide, non ha tifoserie contrapposte, non ha un destino già scritto come il campionato. È un momento di comunione nazionale, un rito laico che ognuno guarda con il proprio filtro: chi con il cinismo, chi con il cuore in mano, chi come se fosse il Super Bowl, chi come se fosse il carnevale. Inserire un gioco dentro questo schema significa avere già il pubblico pronto. Il FantaSanremo è una macchina perfetta per creare conversazioni, perché ogni scelta, ogni punto guadagnato o perso, ogni bonus assegnato in modo assurdo diventa un pretesto per commentare, per litigare, per ridere. Ma il valore aggiunto definitivo sta nell’aver creato un gioco dove l’attenzione stessa diventa la valuta. Si vince per le stravaganze, per gli outfit, per le mosse studiate per guadagnare punti. La gamification estrema. I cantanti stessi sono costretti a partecipare alla messa in scena, a strizzare l’occhio al pubblico del gioco, a fare piccoli gesti che non costano nulla ma che generano engagement. E questo è un corto circuito che fa il gioco del produttore di attenzione: si arriva alla fase finale, quella in cui il confine tra chi produce contenuto e chi lo consuma si dissolve, siamo tutti produttori di attenzione a gratis, cantanti e spettatori. Oggi il FantaSanremo è una piattaforma di monetizzazione dell’attenzione a costo quasi zero. Funziona perché non cerca di forzare la mano: invece di vendere spazi come interruzioni di popup e banner, ha costruito un sistema in cui il coinvolgimento degli sponsor è sia benzina che motore della monetizzazione. Gli sponsor diventano anch’essi produttori di attenzione a gratis, che poi gli viene rivenduta. Ci sono le leghe sponsorizzate: brand di ogni tipo hanno capito che, invece di provare a interrompere l’attenzione, potevano semplicemente inserirsi in una conversazione già esistente e chiedere alle persone di iscriversi alla lega di Perlana, che paga l’attenzione con la perlina (il gioco di parole non era voluto) con un concorsino da quindicimila euro. O a quella di Rotoloni Regina (payoff “Paper for People”), con un altro montepremi da quindicimila euro (forse lo stesso fornitore di premialità li ha fatti in serie? Ho controllato: no). C’è nell’acquisto dell’attenzione, quello che interessa per vendere poi: Vuoi ricevere altri inviti per partecipare a concorsi, sconti esclusivi e offerte personalizzate? Dando il consenso al trattamento dei tuoi dati entrerai a far parte della nostra community e avrai tanti vantaggi esclusivi: buoni sconto, partecipazione a concorsi, comunicazioni personalizzate, test dei nuovi prodotti in anteprima, nonché inviti ai nostri eventi. Puoi annullare l'iscrizione in qualsiasi momento. Non devono convincere nessuno a partecipare, perché le persone stanno già giocando, devono solo rendere la loro lega il posto più interessante dove stare. Un’altra ottimizzazione del costo dell’attenzione. FOMO crea FOMO è uno dei trucchi per produrre e vendere attenzione: e quindi pagine come Taffo e Sapore di Male non hanno resistito. Visto l’andazzo, perfino Biochetasi si è lanciata nell’agone. Conta 277.000 squadre iscritte, l’hashtag è l’agghiacciante #cipuoicAntare, che rimanda al suo payoff “ci puoi contare”, ovviamente. Non ce l’hanno fatta a non farlo. Branded engagement, attivazioni, concorsi: il modello di business non è diverso da quello di tante startup digitali. Prima si crea una base utenti smisurata, poi si trova un modo per renderla monetizzabile senza alienarla. Il FantaSanremo non ha mai chiesto soldi ai partecipanti, al contrario di altre leghe americane: in Italia siamo allergici a pagare, ma non a cedere i nostri dati in cambio di intrattenimento e premi. L’attenzione è una merce e il FantaSanremo l’ha capito prima di molti altri. Non l’ha prodotta, ma l’ha incanalata e distribuita, l’ha resa un asset commerciabile senza doverne sostenere i costi di creazione. È la stessa logica con cui Google e Facebook hanno costruito i loro imperi: essere la piattaforma su cui l’attenzione si muove, e non il prodotto che la genera. E finché gli italiani continueranno a giocare, a scommettere, a voler essere protagonisti di un evento collettivo, il FantaSanremo avrà un pubblico pronto a cedere attenzione e un mercato disposto a comprarlo. Il marketing insegnato dai negozianti Pizze da esporto. ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto gonzo-collettivo a cui puoi contribuire senza pietà. No screenshot o inoltri dai social, solo foto vostre. Segnalazioni * La scorsa settimana ho parlato del culto da motivatore di Julio Velasco . * È uscito un mio pezzo per Link , che mi è costato non poco sudore neurale, in cui parlo di prezzi dinamici dei voli e di quelli dei concerti degli Oasis, della rivoluzione francese, di economia comportamentale, di Annie Ernaux e del suo libro Guarda le luci, amore mio , del Bon Marché – il primo grande magazzino a introdurre il concetto di prezzi fissi –, di equità nel prezzo, di Douglas Coupland, di capitalismo, di dati, dell’algoritmo e della personalizzazione per massimizzare i profitti. * È uscito il mio op-ed (ho scoperto questo termine e ora lo uso ovunque) per Tendenze: parlo della fine dell’età dell’oro (per l’ecommerce). That’s all folks! Se ti è piaciuta, inoltrala o stampala sulla stampante condivisa dell’ufficio, qualcuno la raccoglierà. Ah, se stai pensando di supportare questa newsletter, clicca qui . Grazie ancora a Digital Pills . Se stai pensando a uno speech nella tua azienda o al tuo evento, rispondi alla mail. Ci leggiamo venerdì prossimo, gluca Grazie a Daniela Bollini per la paziente correzione e a Cristina Portolano per i separatori. Quiz: b) Un milione e quattrocentomila tonnellate (capacità produttiva massima) ( fonte ). This is a public episode. If you would like to discuss this with other subscribers or get access to bonus episodes, visit lettera.minimarketing.it…
Il ciclo delle notizie: a) giornali e tv: guarda che circo a Roccaraso! b) ma l’ambiente? dichiarazione di un consigliere dei Verdi c) illuminato editoriale indignato sul potere degli influencer d) pioggia di meme ridicolizzanti e) articolo del Post che da entomologo spiega benissimo la situazione del formicaio e) pioggia di meme stavolta dalla parte degli invasori f) articolo pensoso di Domani sul diritto del proletariato a fare a palle di neve dove je pare. Sei tra le circa 25.000 persone iscritte tra qui, LinkedIn , Telegram e WhatsApp : grazie, spero che le 3,1 ore per scriverla ti siano state utili. A proposito, che ne dici di presentare il tuo brand nella newsletter? Dai un’occhiata per sponsorizzare nel 2025 . Il quiz della settimana A quale percentuale del PIL ammonta per lo Stato di Anguilla, nei Caraibi, la vendita dei domini .ai nel 2023? a) 37% b) 54% c) 86% [Il tuo nome qui] [mini]marketing è una newsletter creata e mantenuta in prima persona da me. Sono Gianluca Diegoli, divulgatore a tempo perso, ex manager e ora consulente direzionale, professore a contratto in IULM, editorialista per Link, Tendenze, Quants, Forbes e Nòva 24, autore di saggi come Svuota il carrello per UTET, e manuali come Retail Omnichannel e Social Commerce per Apogeo e Mobile Marketing per Hoepli, nonché early adopter del digital marketing in Italia e blogger della prima ora. La newsletter si differenzia dalle fonti di settore perché senza troppi filtri, capace di farsi domande scomode, a volte di sorridere dei nostri stessi tic di marketer. Con un tono leggero, personale e (spero) mai scontato, è frequentata da chi vuole riflettere davvero sul marketing nella trasformazione digitale e non solo. Chi sponsorizza qui sa che chi legge lo prenderà in considerazione realmente. Ci sono posti sparsi per marzo-aprile-maggio, se ci stavi pensando, è il momento di agire :) La filosofia di Julio Chi mi conosce di persona sa quanto sono refrattario ai decaloghi strategici, per non parlare di quelli motivazionali, e ancora di più se comportano metafore sportive. Non per tutti è così: ci sono persone che adorano tutto questo. Un mio ex capo era innamorato di Velasco, che è un po’ un mix di motivazione, metafora e strategia. Quando qualcosa non funzionava, fosse a livello di business o di team, andava prima ad abbeverarsi da Julio (che per quei pochi che non lo sanno, ha una forse più grande carriera parallela come oratore e coach di coach e imprenditori vari), poi ci obbligava ad abbeverarci pure noi nello stesso ruscello juliano, sia a distanza che di persona. Gli ho anche stretto la mano una volta, a Julio (più che altro per mostrare al boss la prova che c’ero andato davvero). Il boss tramite benedizione velaschiana pensava di cambiare quel Gianluca trentenne che alzava la mano in riunione ed evocava gli elefanti nella stanza, o pronunciava i “dipende” e i “sì, ma”. Poi mi chiedo perché ora non sono a capo di una multinazionale, che ingenuo. Insomma Julio è davvero un grandissimo, soprattutto nell’epoca dei coach della porta accanto autoproclamati su TiktTok. La sua oratoria è una raffica di scariche di adrenalina, come si dice – io purtroppo sono intollerante all’adrenalina, ma capisco la dipendenza che hanno molte persone per quelle scariche di elettricità sottopelle, dalla permanenza in circolo di qualche ora, ma che in quel momento ti sembrano il toccasana. Credo che molte droghe – non ho molta esperienza in merito – funzionino più o meno così. Le sue parabole sono meglio di quelle di Gesù. La sapete quella della schiacciata? Io l’ho sentita almeno venti volte. “Lo schiacciatore non commenta l’alzata, la risolve”. Ci vuole dire, Julio, che non serve attivare una catena di scaricabarile. Racconta Velasco in un celebre aneddoto che alla fine la colpa del punto mancato diventa del bidello che, in palestra, non ha chiuso bene la porta. “La cultura degli alibi va scardinata.” Sì, certo. Ma se il sistema è sbagliato, chi lo cambia? Se l’alzatore non sa davvero fare il suo mestiere? Se ci si abitua ad arrangiarsi sempre, si rischia di accettare situazioni strutturalmente sbagliate. A volte è meglio pretendere un cambiamento, piuttosto che continuare ad aggiustare le cose alla meno peggio. Secondo me il problema, caro Velasco, è che nelle aziende italiane si fanno spesso entrambe le cose: si incolpa sia l’alzatore che lo schiacciatore, in modo da non cambiare nulla. Diglielo al prossimo convegno! Digli che te l’ha detto gluca! È così la filosofia velaschiana: forse giusta ma bianca o nera, come tutte le religioni, i proverbi e le massime della nonna. “Nell’errore cerca il motivo, non il colpevole” è parente della precedente. Trovare cause sistemiche e non personali, ma in Italia non è mai colpa di nessuno. Si rischia di creare un ambiente dove nessuno si assume responsabilità. “La squadra si costruisce con ruoli chiari” dice Julio, che è fordista dentro. Ma definire troppo le responsabilità può creare silos, bloccando la creatività e l'adattabilità: è l’“eseguivo gli ordini” effect. “Giocare di squadra è una regola”: e chi lo dice? La collaborazione è importante, ma alcune persone rendono meglio da sole e la cultura del teamwork forzato (mioddio che ricordi angosciosi) può fare danni. Inoltre, troppa collaborazione può rallentare i processi decisionali. Lo diceva Bezos: se dobbiamo comunicare significa che siamo inefficienti. “La mentalità vincente si costruisce vincendo su sé stessi”: a me è sempre sembrata una frase motivazionale buona per un poster. In molti casi imparare a perdere e a gestire la sconfitta è più importante di pensare sempre e solo alla vittoria. Forse Julio intendeva che devi essere ottimista, e allora ok, certo. “Basta lamentarsi di quello che manca”: e se invece fosse utile senza dover sempre mettere polvere sotto il tappeto, con la scusa che il lamento non è utile? Sai Julio poi cosa succede? In riunione tutti propositivi, in bagno a lavarsi le mani tutti a lamentarsi, e poi via a mandare curriculum alla concorrenza – io feci così. Il coach non ammette il caso, la sfortuna, la giornata storta. Tutto è motivazionale. “Chi vince festeggia, chi perde spiega” sostiene spesso Julio nel tripudio generale. E se chi vince avesse solo avuto fortuna? In ogni caso, per 1.700 euro più IVA durante il Julio Velasco Day ve lo spiegherà sicuramente meglio di me: al prezzo vi viene via un posto numerato nelle prime file, l’Executive Report e materiale didattico, Attestato di partecipazione, nonché Video Review On Demand per 7 giorni, Networking lunch & coffee break in area riservata, Desk di registrazione riservato e soprattutto l’ambita Priority per foto con Julio Velasco. Io, invece, attendo di partecipare al Trinchieri Day (che non esiste ancora). In uno short che vi sbobino, Andrea Trinchieri, allenatore di basket, oggi allo Zalgiris di Kaunas, mi ha spiegato la strategia in un modo che non avevo mai sentito. Io parto sempre dividendo tre macro-aree nel mio lavoro. La prima è avere una filosofia, poi avere una strategia relativa a quella filosofia e poi andare a spezzare il capello con una tattica. La filosofia è sempre dettata da chi alleni, dove alleni e per cosa alleni. Credo che sia veramente una necessità essere il più flessibile e avere la necessità di adattarsi alle situazioni. Io penso che il nostro lavoro sia diventato 100% situazionale, dove non puoi dire "Ah, qui si fa così". No. Questa situazione può essere simile a un’altra, ma è diversa. Quindi ogni situazione va valutata nella sua interezza, senza compromettere certi valori. Ci sono cose che io definisco no-go. Ecco, da ora mi sento seguace di Trinchieri. Ho trovato finalmente un mio guru. Dolcemente complicato. Il marketing insegnato dai negozianti Attenzione ai testimonial che usate nelle affissioni: a Trieste hanno fatto il debunking. Ti ricordo che ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto gonzo-collettivo a cui puoi contribuire senza pietà. No screenshot o inoltri social, solo foto vostre. Segnalazioni * La scorsa settimana ho parlato dei dati che lasciamo andando nel mondo reale, in palestra o a fare la spesa o al padel. * È uscito un mio pezzo lungo scritto per Link , che mi è costato non poco sudore neurale, in cui parlo di dynamic pricing, degli Oasis, della rivoluzione francese, di economia comportamentale, di Annie Ernaux e del suo libro Guarda le luci, amore mio , del Bon Marché – il primo grande magazzino a introdurre il concetto di prezzi esposti e fissi –, di equità nel prezzo, di viaggi e hotel, di Douglas Coupland, di capitalismo digitale, di dati, dell’algoritmo e della personalizzazione per massimizzare i profitti. That’s all folks! Se ti è piaciuta, inoltrala o stampala sulla stampante condivisa dell’ufficio, qualcuno la raccoglierà. Ah, se stai pensando di supportare questa newsletter, clicca qui . Se stai pensando a uno speech nella tua azienda o al tuo evento, rispondi alla mail. Ah, abbiamo superato le 20.000 iscrizioni qui: VVB. Ci leggiamo venerdì prossimo, gluca Grazie a Daniela Bollini per la paziente correzione e a Cristina Portolano per i separatori. Quiz: a) 37% ( fonte ). This is a public episode. If you would like to discuss this with other subscribers or get access to bonus episodes, visit lettera.minimarketing.it…
Questa settimana sono stato colpito da virus ma eroicamente sono qui. In realtà è una dipendenza, più che una resistenza. Grazie a Tailoor per il contenuto creato assieme e il supporto che consente di sostenere questa newsletter. Ah, una nota di merito a colui che ha proferito “entriamo a tutto funnel nel customer journey del cliente” a un famoso convegno. Sei tra le circa 25.000 persone iscritte tra qui, LinkedIn , Telegram e WhatsApp : grazie, spero che le 3,3 ore per scriverla ti siano state utili. A proposito, che ne dici di presentare il tuo brand nella newsletter? Dai un’occhiata per sponsorizzare nel 2025 . Il quiz della settimana Quanto guadagna in pubblicità la RAI per ogni serata di Sanremo? a) 5 milioni di euro b) 12 milioni di euro c) 16 milioni di euro Contenuto coprodotto con Tailoor Eccoci qui con il quinto episodio di "𝗧𝗲𝗰𝗵 𝗧𝗮𝗹𝗸𝘀: 𝗘𝗻𝗵𝗮𝗻𝗰𝗶𝗻𝗴 𝗣𝗲𝗼𝗽𝗹𝗲’𝘀 𝗨𝗻𝗶𝗾𝘂𝗲𝗻𝗲𝘀𝘀 𝗧𝗵𝗿𝗼𝘂𝗴𝗵 𝗔𝗜". In questo episodio, esploriamo come la personalizzazione del prodotto e dell'esperienza possa guidare il successo di un brand. Le interfacce AI svolgono un ruolo chiave nella comprensione delle preferenze e dei comportamenti dei clienti. Stai sfruttando tutte le tecnologie di cui il tuo brand ha bisogno per sbloccare il suo pieno potenziale strategico? Guarda il nostro ultimo video con approfondimenti esclusivi di Gianluca Diegoli. Le persone sono dati C’è una battuta che dice, più o meno, “una volta internet era una via di uscita dal mondo reale, oggi il mondo reale è una via di uscita da internet”. Non parlo delle fughe di massa verso esperienze di tutti i tipi che sono la nostra dipendenza contemporanea, almeno di chi ha abbastanza soldi sia per lamentarsi della shittificazione della rete che per fare esperienze: di quello parlerà l’ultimo capitolo del mio libro – forse forse ci siamo, potrebbe essere fuori a tarda primavera. Qui per vostra sfortuna si parla di marketing e di pubblicità. Ma il concetto non è tanto diverso, solo che noi marketer siamo pronti a monitorare le vostre fughe nella realtà, a misurarle e a tracciarle, e poi riprendervi nel circolo vizioso quando prima o poi tornate su internet. Perché lo sappiamo che tornate. Nessun detox dura per sempre. Anche quando boicottate Meta, dura qualche giorno, e poi di nuovo con la FOMO di vedere se qualcuno si è accorto della vostra assenza, di misurare i like che perfino la newsletter su Substack ha raccolto – anche se chi legge su Substack, e quindi può mettere like, è meno dell’uno per cento. Ok, Twitter, ok. Ma quella di andarsene da X non è stata una grande rinuncia, per la maggior parte degli utenti, anzi è stato un bell’effetto dimostrativo a costo zero. A esserci rimasti male sono solo i giornalisti, che si erano crogiolati in una fama ombelicale per qualche anno, e improvvisamente si sono trovati soli con la compagnia dei sopravvissuti su X, di cui buona parte con un comportamento che fa sorgere dubbi sulla loro salute mentale. Torniamo al marketing. I cookie sono morti, ma non gliene frega niente a nessuno. I vari pixel di Meta e Google hanno salvato il salvabile, e abbastanza, direi, delle loro capacità di targetizzazione. Ora i vecchi cookie si chiamano “collegamenti API tra i dati di prima parte dei brand e l’AI di Meta”, ho sentito dire da un loro rappresentante a un evento. Contenti tutti, piattaforme, garante GDPR, aziende e anche utenti, purché gli aboliamo lo stupido cookie banner che sarebbe pure ora. Ci perdono i giornali, ma vabbè, quelli poi hanno sostenuto la privacy a tutti i costi non capendo che gli si sarebbe ritorta contro. Ma oggi l’ultima frontiera è il retail media. Il concetto di retail media in sé secondo me non è niente di che. Metto la pubblicità dove la gente compra. E scopri che, wow, compra. Il problema è sempre l’incrementalità. Se metto un tizio a distribuire coupon sconto davanti al mio ristorante, stai sicuro che quei coupon avranno un ROAS altissimo. La maggior parte dei coupon sarà diventata mia cliente, cioè ha convertito. Ehi, funzionano! Però alla fine l’incrementalità è complessa da spiegare al CEO, le vendite molto meno. E allora avanti con il retail media, abbiamo visto di peggio. La parte interessante del retail media in realtà è il retail data. Siccome ci mettono i bastoni tra le ruote digitali, tra banner e privacy, e flag, e Apple con il suo disclaimer in malafede sul permesso al “tracciamento” (quando per i suoi servizi analoghi parla di “personalizzazione”), noi scappiamo nel mondo fisico. Vai in palestra? Mi produci dati. Fai la spesa con il salvatempo? Mi produci dati. Sei iscritto a una associazione di tiro con l’arco? Mi produci un dato. Ok, nella maggior parte dei casi, oggi, potrebbe essere un dato. Ma manca davvero poco. “Hai comprato un paio di sci? Forse ti serve un’assicurazione” e quindi il retailer vende il dato. Ok, non lo vende in senso stretto, lo “matcha”. Cioè se compri online o con carta fedeltà hai una mail, e questa mail casualmente è quella che usi sempre per registrarti ad Amazon, Google, Instagram. (Se usi mail differenti per ogni servizio fai parte del segmento privacy freak che ha ben altri problemi). Ah, ma io non uso mai la mail, al massimo il cellulare. Uguale, anzi, meglio!, che il numero non si cambia mai e la casella non si riempie mai. Dunque la mail o il cellulare del tuo abbonamento in palestra verrà matchata con Spotify nel quale un inserzionista di canottiere sportive ti intercetterà, mentre ascolti la playlist hits for power . Naturalmente, come dice Galloway, la pubblicità è una tassa sui poveri, e quindi se puoi pagare Spotify Premium sei immune. Ah, ma io compro la carne dal macellaio, Mario si ricorda di me a memoria e mi dà la scottona che piace a me . Ah, ok, ma allora sei un super privilegiato! Mario tra un anno scoprirà che se condivide la sua carta fedeltà digitale con un circuito nazionale guadagnerà 5 euro. Mario ti tradirà. Apparirà (per caso?) a un certo punto Old Wild West nelle promo su Instagram, e ti ritroverai a mangiare la T-bone al martedì, che è in sconto. E poi chissà, vedrai un video della Citrosodina ancora prima di arrivare al parcheggio. Possiamo skippare ma non possiamo scappare. Il marketing insegnato dai negozianti Un classico danno del linguaggio b2b. (Roberta, località ignota) Ti ricordo che ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto gonzo-collettivo a cui puoi contribuire senza pietà. No screenshot o inoltri social, solo foto vostre. Segnalazioni * La scorsa settimana ho parlato di spacchettare un editore . * Il 4 febbraio a Bologna intervisto senza filtri Enrico @edtv Marchetto; presenterà il suo libro Confessioni di un marketer alle 18:30 da Zoo, in Strada Maggiore. Segnate in agenda. No stream, just beer. * Sono aperte le iscrizioni per una nuova classe del Corso Part-Time di Digital Marketing di Develhope, in cui insegno strategia generale. È adatto per chi parte da zero e vuole lavorare nel marketing. Info qui . * Scade a fine mese il progetto di crowdfunding di Banca Etica su Produzioni dal Basso per la ricostruzione delle fattorie palestinesi in Cisgiordania. Si può contribuire da qui . That’s all folks! Se ti è piaciuta, inoltrala o stampala sulla stampante condivisa dell’ufficio, qualcuno la raccoglierà. Grazie ancora a Tailoor. Ah, se stai pensando di supportare questa newsletter, clicca qui . Se stai pensando a uno speech nella tua azienda o al tuo evento, rispondi alla mail. Ci leggiamo più sani venerdì prossimo, gluca Grazie a Daniela Bollini per la paziente correzione e a Cristina Portolano per i separatori. Quiz: b) 12 milioni di euro, cioè circa 60 divisi per cinque giornate ( fonte ). This is a public episode. If you would like to discuss this with other subscribers or get access to bonus episodes, visit lettera.minimarketing.it…
Ok, lo sapevo che non dovevo scrivere la scorsa settimana. Perché all’inizio dell’anno si fanno le pulizie delle newsletter, ed era meglio fingersi morti. Grazie a te che leggi perché sei ancora qui, che se vuoi puoi inoltrare questa mail per recuperare i cinquanta unsubscribe mariekondici della scorsa settimana*. E grazie anche a Digital Angels, secondo sponsor dell’anno. *ovviamente non mi interessa nulla, figurati. Anche perché per l’economia comportamentale “denunciare qualcosa di negativo come fatto comune” significa normalizzarlo e indurre altri a comportarsi “male”. “Il 50% non fa la differenziata!”, “Ok, allora nemmeno io”. Non solo non funziona, ma funziona al contrario. Sei tra le circa 25.000 persone iscritte tra qui, LinkedIn , Telegram e WhatsApp : grazie, spero che le 4 ore per scriverla ti siano state utili. A proposito, che ne dici di presentare il tuo brand nella newsletter? Dai un’occhiata per sponsorizzare nel 2025 . Il quiz della settimana Qual è la percentuale di persone che in Italia consultano il loro oroscopo a gennaio? a) 30% b) 50% c) 90% In collaborazione con Digital Angels In un panorama digitale in continua evoluzione, quali saranno le novità che segneranno il 2025? A febbraio ti aspettiamo per un ciclo di webinar gratuiti , in cui esploreremo i trend più importanti del settore, dai social media al marketing strategico, dalla creatività al media planning. 📅 Ecco il calendario degli appuntamenti : * 6 febbraio : Strategic Marketing Trends 2025: Non è solo AI quel che luccica * 13 febbraio : Creative Trends 2025: Un anno da raccontare * 20 febbraio : Social Media Marketing Trends 2025: Strategie vincenti per coinvolgere il pubblico * 27 febbraio : Media Planning Trends 2025: Opportunità e Sfide ⏰ Ogni incontro si terrà dalle 10.00 alle 11.00 . 👉 Scegli i webinar più interessanti per te e iscriviti subito! Separa e unisci, separa e unisci È un po’ che non parlo di un concetto chiave del marketing contemporaneo. È l’eterna lotta tra i due poli del bundling e dell’unbundling . È affascinante – per me almeno – come osservare la resistenza che due bollicine aggrappate al vetro nella bottiglia di acqua gasata oppongono al fondersi in una. Poi desistono, e si fondono, ma quando diventano più grosse risalgono verso l’alto, lasciando spazio ad altre bollicine singole, e così via. L'unbundling è il processo di separazione in offerte separate di un servizio precedentemente venduto in blocco. Di solito non è il leader di mercato a frazionare – chi glielo fa fare – ma avviene con la nascita di nuovi sfidanti che offrono le parti come prodotto a sé, con caratteristiche tecniche solitamente migliori e a un prezzo più elevato, normalmente per sfruttare necessità di segmenti particolari di mercato, e a target come agli early adopter. Questi sono religiosamente attratti dagli unbundling – erano quelli che usavano Google Docs online quando non era di Google e si chiamava Writely. I singoli pezzi di un servizio venduto in bundle non fanno quasi mai nulla al meglio delle possibilità offerte dal mercato, ma fanno quasi tutto sufficientemente e si incastrano alla meraviglia, facendo risparmiare tempo a chi vende e chi compra: Microsoft Office non ha vinto a caso. A volte l’unbundling serve per l’upsell: le compagnie aeree low-cost ne sono maestre; le combinazioni per decidere posto, bagaglio, transito, assicurazioni, noleggio auto e (solo per Air Serbia) torta personalizzata a bordo, sono centinaia e contribuiscono al 70% del fatturato. In pratica ogni imprenditore, contrariamente alla mitopoiesi corrente (da quando ho scoperto questa parola la infilo ovunque) non inventa (quasi) niente, ma solo aggrega o spacchetta. Il marketing strategico deve analizzare le potenzialità dell’unbundling. Significa capire dove tracciare il confine della propria offerta, sapendo che si sposta in continuazione. A seconda del target, dello stato del ciclo di vita del prodotto, del settore, della propria capacità di vendere a pezzi o in bundle, la strategia deve essere diversa. Nei periodi rivoluzionari l’unbundling vince attraverso le startup. Ma le rivoluzioni finiscono sempre con la restaurazione, che a sua volta finisce per favorire i bundle. La exit di una startup verso il competitor di solito è un tipico re-bundling. Nessuno si aspetta l’unbundling Ma cosa succede quando è il mercato ad attaccare il tuo bundle, e sei nell’editoria? Ero in riunione questa settimana con il team di un piccolo editore specializzato su di una filiera di eccellenza industriale italiana. Tecnologia all’avanguardia nascosta di solito in un capannone brutto. Aziende che tengono su tutto il baraccone del design italiano fino ad arrivare ai fatui party del Fuorisalone, ma che se le guardi dalla strada sembrano autosaloni eritrei dell’usato Nissan, e chiedo perdono ai valorosi eritrei, e la loro gloria è seppellita sotto strati multipli di subfornitura. Ebbene, oggi l’editoria di settore è decisamente a fine corsa. Le aziende, giustamente o no, mi dicono, preferiscono spendere soldi dove “si vede se qualcuno compra”. Cioè sul digitale, facendosi arrivare lead più o meno di valore, a costo di buttarne via il 99%. E sfogliando un magazine di carta è difficile che qualcuno compri al volo qualcosa – soprattutto se sono macchine di precisione da decine di quintali. Un magazine di settore di nicchia, di carta, inviato via posta (per la maggior parte a gratis), era un classico bundle novecentesco. C’era dentro tutto lo scibile per l’imprenditore, spesso anche marketer e venditore al tempo stesso: * disporre di una blanda informazione sul mercato, prima che ci fosse abbondanza, con un influencer e un tiktoker per qualunque settore merceologico * togliersi la curiosità sui competitor – e sperare ogni mese segretamente nel loro fallimento * rimpolpare la propria vanità mostrando ai competitor pagine agiografiche comprate come interviste o pubbliredazionali mascherati * spacciare l’abbonamento al magazine per formazione su prodotti e processi * fare networking e chiedere favori/contatti In un mondo di editoria di carta fare unbundling era complicato. Si comprava una pagina di pubblicità per avere accesso un po’ a tutto. E oggi? A nessuna azienda cliente serve tutto , sempre . Non tutto è perduto Serve ripartire a) dagli asset di valore e di difesa (o anche moat ): cosa sappiamo fare? Quali nostre competenze (non ancora servizi) sono veramente distintive e non replicabili da altri? e b) dal valore: cosa ci chiede davvero il mercato? Qual è il fine ultimo delle cose che ci chiede? Per cosa sono disposti a spendere questi clienti? La teoria dei Jobs to be done, detta anche Jobs Theory, sostiene che le persone non comprano i prodotti ma li “assumono” per svolgere un compito, come risolvere un problema, o soddisfare un desiderio. Il database dell’editore (che è un who’s who) e il suo know how tecnico sono gli unici pilastri non contendibili, il moat , su cui ricostruire un valore. La carta uguale per tutti è solo una zavorra. Oggi questo “editore” può ribaltare l’unbundling a suo favore e: * organizzare eventi, workshop, roadshow – anche on demand; * fare ricerche di personale; * fare formazione online su vendita e produzione; * vendere un “bollettino” di insight, studi e dati a pagamento a caro prezzo; * vendere pubblicità su newsletter e sito, per coloro che misurano i clic; * segmentare e continuare ad arricchire il database per DEM e liste profilate; * proporre servizi di ufficio stampa e PR; * ricerca di contatti qualificati per mercati esteri, chiavi in mano – pagamento alla call generata; * e… perché no? Una unica pubblicazione de luxe annuale, da tenere nelle sale d’aspetto con piante e marmi. Deve fare tutto questo? No, sono possibilità da valutare. È ancora “un editore”? Probabilmente no. È importante? Probabilmente no. Finito un bundling se ne farà un altro diverso, chissà. Il marketing insegnato dai negozianti Selettivi ma onesti. (Domitilla, località ignota) Ti ricordo che ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto gonzo-collettivo a cui puoi contribuire senza pietà. No screenshot o inoltri social, solo foto vostre. Segnalazioni * La scorsa settimana ho parlato di discount fluidi nell’era di TikTok . * Il 4 febbraio a Bologna intervisto senza filtri Enrico @edtv Marchetto; presenterà il suo libro Confessioni di un marketer alle 18:30 da Zoo, in Strada Maggiore. Segnate in agenda. No stream, just beer. * Sono aperte le iscrizioni per una nuova classe del Corso Part-Time di Digital Marketing di Develhope, in cui insegno strategia generale. È adatto per chi parte da zero e vuole lavorare nel marketing. Info qui . That’s all folks! Se ti è piaciuta, inoltrala o stampala sulla stampante condivisa. Grazie ancora a Digital Angels. Ah, se stai pensando di supportare questa newsletter, clicca qui . Ci vediamo puntuali venerdì prossimo, gluca Grazie a Daniela Bollini per la paziente correzione e a Cristina Portolano per i separatori. Quiz: c) 90% (da prendere con le molle, questo dato è riportato da vari giornali come “ultimi dati”, ma potrebbe risalire a un comunicato stampa di dubbia fondatezza. La storia del 90% è interessante per capire come le non notizie, a furia di ricerca Google e copia incolla, si perpetuano). This is a public episode. If you would like to discuss this with other subscribers or get access to bonus episodes, visit lettera.minimarketing.it…
Oh, a guardare quanto aumentano gli iscritti qui senza scrivere newsletter, mi è venuta quasi voglia di non scrivere più. È un po’ come il reddito passivo dei guru finanziari, in effetti. Stai lì in panciolle a vedere affluire soldi, solo che qui sono iscritti e iscritte. Purtroppo non credo ai guru finanziari, e quindi niente, sono qua, si ricomincia. Benvenute e benvenuti a chi ha messo la propria email qui, e grazie. E grazie anche a Instilla, primo sponsor dell’anno. Sei tra le circa 25.000 persone iscritte tra qui, LinkedIn , Telegram e WhatsApp : grazie, spero che le 4 ore per scriverla ti siano state utili. A proposito, che ne dici di presentare il tuo brand nella newsletter? Dai un’occhiata per sponsorizzare nel 2025 . Il quiz della settimana Quanto valeva un cliente all’anno per Tiger (cioè Flying Tiger ecc.) nel 2023, all’incirca? a) 6 euro b) 10 euro c) 19 euro In collaborazione con Instilla Digital Audit gratuito #2… non abbiamo resistito! Il Digital Audit Gratuito e Personalizzato realizzato da Instilla ha avuto un grande successo, e non potevamo che riproporlo anche a gennaio!Le prime 30 persone che lo richiederanno potranno ottenere un’analisi approfondita su una verticalità del proprio business , scegliendo tra Communication, Brand Identity, Social Media, Paid Media, SEO, Analytics & Tracking, Email marketing / Marketing Automation e UX/UI.Il Digital Audit metterà in luce: * I punti di forza del brand sulla verticalità * Le opportunità di crescita * Alcune indicazioni pratiche per ottimizzare la strategia Per richiedere il Digital Audit Gratuito accedi alla pagina dedicata , seleziona la verticalità da approfondire e fissa una prima call consulenziale per condividere i dettagli dell’analisi. Il Digital Audit Gratuito ti verrà presentato in un secondo incontro dedicato.Posti limitati: solo i primi 30 iscritti potranno accedere al Digital Audit Gratuito, non perdere tempo! Il discount nell’era di TikTok È stupefacente la capacità del retail fisico - quell’aggregato di pratiche magiche per cui ci piace andare a farci spennare in negozi affollati, illuminati a giorno e zeppi di altri umani - di ricrearsi, ricostruirsi. Si dice che la pubblicità sia uno scarafaggio - nel senso di qualcosa che non puoi sconfiggere, solo scacciare, prima che ritorni più forte e numeroso di prima - ma in realtà il vero scarafaggio è il retail fisico. Dopo il Covid lo davamo per morto et voilà: torna in mille ricombinazioni diverse. Gli tagli la testa e se ne formano due, come i lombrichi. Le persone non vanno più ad acquistare per acquistare? Ci metti un coffee shop dalle parvenze nordiche, per fingere di essere a Stoccolma, come nello store di Arket a Milano. Ci siamo inventati la ristolibreria, per chi vuole sentirsi parte di una élite pure mangiando le stesse pappardelle al cinghiale della mensa della Camst, c’è la ristoriparazione, dove riparano biciclette e ti fanno la quinoa. È in questo mischione epocale, in questo collasso delle categorie merceologiche che risorgono nuove forme di retail. Certo, farlo online è facile, si chiama curation, vai in giro per il web e trovi tutto quello che interessa al tuo archetipo di segmento target: per esempio il negozio per il runner - dalle noccioline alle creme anti-callo. Non so se esistano, immagino di sì. Ma che sicuramente vengono presentate come specifiche per i runner, ma al 99,99% uguali a quelle di vostra nonna. E magari un help desk per i clienti per aiutarli nel configurare Strava, che altrimenti si considerano dei reietti asociali. Farlo offline è più costoso e complesso, e richiede di mettere assieme capra (verticalità, differenziazione, unicità) e cavoli (un sufficiente e capace bacino geografico dove pescare il target). Per quanto i click costino come oro, nel 2025, lo sbatti per mettere su un punto vendita con vere persone, veri scaffali e vera logistica va molto oltre il costo economico dell’affitto, in svendita nelle de-industrializzate periferie ed ex zone artigianali italiane. Però quando funzionano, la potenza del passaparola per i negozi fisici è incredibile. Sembra che quelli con cui stai pranzando non riescano proprio a trattenersi. Tu cambi argomento e loro, tac, ci tornano sopra. “Devi ASSOLUTAMENTE andarci”. Ok. “No, dico davvero!” E allora vado. Si chiama Action. Come azione, ma più probabilmente arriva da Aktion, che vuol dire promozione in tedesco. E loro sono tedeschi. Una volta i tedeschi producevano - per rimanere nelle robe piacevoli - automobili. Ora producono discount. E che discount. Quando noto che hanno registrato un action.com che da solo vale più di tutte le startup italiane, be’ capisci che devi andarci con un certo rispetto. Perdo colpi: perfino mia sorella risponde alla domanda su di una sua visita ad Action con “ovviamente”. Da fuori Action è un mix di estetiche di Obi, Decathlon e Aldi, ma quel colore azzurro e la A con le barrette (a darle movimento, direbbe un art director) potrebbero far pensare a integratori proteici. Mi sembra strano, ma scoprirò che nulla è in realtà casuale. L’Action che visito io è grande come un Lidl della taglia XL. È il 29 di dicembre, e il parcheggio è pieno. Dentro c’è fermento. Action è un insieme di lombrichi a cui hanno tagliato la coda e, rimescolati, si sono riattaccati da soli. Sembra normale che si passi da uno scaffale di enormi integratori proteici da 670 g di polvere alla fragola a un intero scaffale di candele profumate (in un angolo, con un ultimo rigurgito di categoria merceologica, ci sono anche quelle funebri). Perché tante candele? Non ricordo bene dove l’ho letto, credo su “Domani” in un articolo di Giulia Pilotti, suonava più o meno così: “Se non possiamo pagarci il mutuo, almeno una costosissima candela profumata sì”. Qui però non costano poi molto, ma ammetto che non so il prezzo medio delle candele. Forse basta che la candela appaia costosa, con quei nomi tipo “White Lily” o “Autumn Spice”. Il discount contemporaneo è ossessionato dai trend sociali, che a loro volta si diffondono via TikTok e Instagram. Si aggiorna, devi farsi trovare pronto. Nessun prodotto ha lo scaffale garantito, non è che tu cracker salato perché ti abbiamo sempre venduto hai il diritto di occupare il posto, come un latifondista improduttivo. Serve la creatina (non la creatività), fai spazio. Ora è il momento delle palle manubrio per esercizi casalinghi davanti a YouTube, domani lo stesso spazio potrebbe essere preso da uno stock di dinosauri in gomma. Il prodotto nel retail contemporaneo oggi è un precario, un freelance. E quindi le cose cambiano, e il vecchio sbuffo del vecchio cliente Coop “dove avete spostato il mio formaggio?” (cit.) viene sostituito dalla gamification della scoperta, come se il cestello “boxino morboso” della Lidl con il suo potpourri di felpe e avvitatori ricaricabili avesse preso tutto lo spazio disponibile. Qui il ruolo dell’avvitatore è di una “massage gun” che mi fa paura solo a maneggiarne la scatola. Se non sapete cos’è non siete contemporanei neppure voi. Il beauty, a proposito di contemporaneità, non può mancare. Non c’è tutto quello che trovi al Tigotà, ma tutto è selezionato per farti trovare ciò che puoi aver visto su TikTok. Maschere facciali, robe coreane. Per l’uomo è già pronta l’esposizione per fai da te e giardino: non accusatemi di genderismo, ho solo osservato chi guarda cosa, e la realtà è questa. La casetta per uccelli da giardino è il trending topic, magari con fotocamerina per far vedere le fotine degli uccellini carini ai bambini. L’altra caratteristica del discount contemporaneo è che non si nasconde dietro al dito. Dobbiamo costare meno dell’online, punto. Come dicono gli americani: se non sopporti il caldo, non stare in cucina. Poi il discount contemporaneo ha capito una cosa: che i veri ricchi abitano in case piccole. I poveri in periferia in case grandi: e via allora alle mega confezioni da 500 grammi di senape piccante a 1,49 euro. Meno di una bottiglietta d’acqua dello stesso volume in stazione centrale. Una volta che inconsciamente hai capito che qui spendi poco, ti sottopongono le commodity: spruzzini per la pulizia della casa, detersivi, insomma i soliti due scaffali di qualsiasi supermercato. Le barriere razionali sono ormai abbassate, sfogato il momento discovery di quello che non sapevi di volere, ora devi ammortizzare il tempo speso all’interno, e via con manciate di dentifrici senza nemmeno guardare più il prezzo. Action è in parte Lidl, in parte Tiger, perfino un po’ Leroy Merlin, ma anche un po’ Kasanova. Poteva essere un insuccesso clamoroso, e invece il lombrico tagliato a metà si è riprodotto come non mai. Esci, e riguardi lo scontrino: 120 euro di cose. Per esempio, ora possiedo 45 punte per trapano di colori diversi, purtroppo non ci sono le istruzioni e non so quali usare per il muro. PS: se ti interessano le esplorazioni di negozi, ti consiglio Il marketing insegnato dai negozianti Punctum: prospettiva da controllare meglio per designer di font e insegne. (di Batchiara) Ti ricordo che ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto gonzo-collettivo a cui puoi contribuire senza pietà. No screenshot o inoltri social, solo foto vostre. Segnalazioni La scorsa settimana ero in ferie, ma puoi recuperare quella sul presepe, o tenerla per l’anno prossimo. Il 4 febbraio a Bologna intervisto senza filtri Enrico @edtv Marchetto; presenterà il suo libro Confessioni di un marketer alle 18:30 da Zoo, in Strada Maggiore. Segnate in agenda. No stream, just beer. That’s all folks! Se ti è piaciuta, inoltrala o stampala sulla stampante condivisa. Grazie ancora a Instilla. Ah, se stai pensando di supportare questa newsletter, clicca qui . Ci vediamo puntuali venerdì prossimo, gluca Grazie a Daniela Bollini per la paziente correzione e a Cristina Portolano per i separatori. Quiz: a) ogni cliente di Tiger vale 6 euro all’anno. Si può dividere il fatturato (573.570.800 EUR) per il numero di clienti (93.000.000) ≈ 6.17 EUR (fonte Wikipedia, anno 2023). This is a public episode. If you would like to discuss this with other subscribers or get access to bonus episodes, visit lettera.minimarketing.it…
Ehi, prima di scrollare aspetta un attimo! Questa edizione ha un obiettivo speciale. Il ricavato della donasponsorizzazione a Emergency pro-Gaza di questa settimana (750 euro) è stato versato da Veralab . Io ci aggiungerò di mio altri 250 euro. Super grazie, davvero . 2.000 euro a Emergency tra questa e l’edizione della settimana scorsa non sono niente male. Vorrei anche ringraziare tutti gli sponsor del 2024 che con il loro contributo mi hanno incentivato grandemente a mantenere viva, vegeta e puntuale questa newsletter. Sono lieto che qualcuno mi abbia scritto che lo spazio sia servito per trovare nuovi contatti. E infine ringraziare te, sì TE, che mi leggi. Mi meraviglio di quante e quanti siete, quasi ventimila. E del tempo che mi dedicate, anche con email e tutto il resto. Sei tra le circa 25.000 persone iscritte qui, su LinkedIn , Telegram e WhatsApp : grazie, spero che le 5,2 ore per scriverla ti siano state utili. A proposito, che ne dici di presentare il tuo brand nella newsletter? Dai un’occhiata per sponsorizzare nel 2025 . Questa è l’ultima newsletter del 2024 e anche per questo un po’ particolare. Riprende certi usi della cosiddetta blogosfera, in cui a fine anno si scriveva un raccontino “natalizio”. Se ne trovano ancora tracce sul blog di Squonk, ideatore e organizzatore della pubblicazione. Per chi fosse arrivato qui negli ultimi anni ricordo che qui, prima come blog e poi come newsletter, si scrive dal 2004, ed è una specie di fossile vivente stratificato di venti anni di trasformazione violenta, ma anche di cose che non cambiano mai (il post sul marketing della ferramenta potrei averlo scritto oggi). In generale sono contento di aver scritto – a vari livelli di qualità – per venti anni in modo serio ma non serioso. Avviso Veralab aka Cristina Fogazzi voleva fare la donazione pro-Emergency senza usare questo spazio della reclame, ma questa è una newsletter di marketing e quindi è obbligatorio. Quindi iscrivetevi alla sua newsletter, che è pure divertente, e istruttiva su come creare un legame con la propria comunità, e pigliatevi un coupon del 15%! Il presepe di [mini]marketing 2024 Era di nuovo la notte del 24 dicembre nella città di Marketing, ribattezzata New Marketing dopo che il nuovo product manager si era insediato. Aveva giustificato il cambio di nome per (a suo dire) dare visibilità al nuovo posizionamento strategico. Sotto ai cartelli stradali di New Marketing si leggeva ora “fai di più con Gemini AI, provalo ora gratis per 15 giorni!”. Google stava disperatamente cercando di vendere il suo prodotto del 2024 a tutti i personaggi del presepio. Ogni partecipante al presepio aveva ricevuto una pergamena con un codice per attivare la prova. Il panettiere se lo era trovato nel display del forno “crea pagnotte in dieci secondi con Gemini”. Ma lui niente, continuava a usare ChatGPT, perché suo nipote diceva che era meglio. In realtà, tutti stavano usando ChatGPT per qualunque cosa, e il presepe aveva assunto qua e là sentori particolari. Un cane da pastore aveva una zampa in più, ma era comunque contento perché “meglio una più che una in meno”. Il suo collega gli aveva fatto l’occhiolino: “Basta non averne sei eheh”. Qualcuno aveva creato con DALL-E una pista da sci, c’era stata una breve sollevazione popolare dei personaggi conservatori, come il tassista e il vicepresidente del presepio, molto ascoltati – non c’era mai stata la pista da sci al presepio! – ma poi gli Emirati l’avevano sponsorizzata e nessuno aveva più obiettato. Pareva anzi che anche la prossima edizione del presepe si sarebbe tenuta in Arabia Saudita, come i campionati di calcio. Qualcuno per scherzo aveva fatto sbucare un Godzilla dietro le colline, ma subito il prompt era stato bloccato. A ChatGPT era stato offerto quest’anno per acclamazione il ruolo di Giuseppe: tutti sapevano che era il vero padre del nuovo bambinello e del resto, ma facevano finta di credere all’altra storia, cioè che tutto il presepe fosse frutto della creatività delle agenzie preposte. Visti i rapporti, la madonna era impersonata da Microsoft: un pilastro della fede che nessuno voleva da sempre mettere in discussione. L’asinello Cloud come al solito presidiava il lavoro duro di riscaldamento dell’intero presepe, e tutti lo rispettavano, mentre il bue Telco se ne stava lì mesto, sempre a rimuginare di come il suo duro lavoro di trasporto non fosse mai stato riconosciuto davvero. Dopo anni di assenza, erano tornati i profeti delle crypto. Il cambiavalute ne aveva acquistati un po’, un certo Giuda aveva comprato 30 denari in Bitcoin. Il pastore aveva venduto una pecora per un centesimo di una nuova crypto chiamata Starlink, diceva a tutti che quando il sei gennaio vedranno il nuovo Re Magio biondo e dalla pelle arancione capiranno perché. È sempre stato un tipo strano, il pastore sosteneva che il presepio fosse piatto, per esempio. O che l’angelo sopra alla capanna non volasse davvero. Di recente era stato visto con un personaggio discusso, che prima aveva cercato di imporre una nuova costosa carrozza con cavalli elettrici, poi si era comprato le stelline del cielo del presepe, poi qualcuno gli aveva venduto il servizio di scambio pergamene (nessuno lo usava più, dopo che erano nati dissing accesi tra i filosofi e i centurioni romani sull’apertura delle frontiere del presepe a nuove figure da altre scenografie “non comunitarie”). Costui ora sosteneva, spedendo una pergamena ogni quindici minuti, di essere un consigliere particolare dello stesso presunto nuovo re magio arancione. Non si erano ancora visti i Re Magi, in ritardo perché erano tornati ai cammelli abbandonando l’alta velocità – con cui sarebbero arrivati a febbraio. Come sempre carichi di oro, argento e quell’altra cosa che non ricorda mai nessuno, arrivavano da regni chiamati EMEA, APAC, NAMER (quello arancione). Il tizio dall’Asia, APAC appunto, portava ogni anno roba che nessuno ricorda, ma prodotta miracolosamente in serie e a prezzi bassissimi. Un anno si faceva chiamare Temu. L’anno prima Shein, l’anno prima AliExpress. Quest’anno con un colpo di Stato un tizio chiamato Vinted aveva usurpato il re magio EMEA. Dopo un attimo di sorpresa, il responsabile della CSR del presepe aveva dato la sua approvazione. Con Vinted nel presepe si sentivano tutti più buoni – e il solito vestito di Prada di Maria era costato molto meno. Quello NAMER avrebbe portato il solito argento, ma dall’importo sarebbero state detratte le multe annuali dell’Unione europea. Se lo volevano lì, o così o niente. Anche quest’anno erano assenti dei personaggi: il mugnaio e il fabbro avevano il contratto in smart, che non c’era mica bisogno – dicevano – di stare ventiquattro ore lì fermi e che il ruolo del lavoro andava ripensato. Altri erano assenti, si vedevano gli spazi vuoti, ma nessuno ricordava chi fossero. Si erano disiscritti citando la GDPR e di loro si erano perse le tracce. Non avevano nemmeno potuto avvisarli della convocazione 2024. Il personaggio sorpresa dell’anno scorso era diventato un riccone. L’anno scorso era stato pure divertente, quest’anno guardava tutti dall’alto in basso, e nessuno riusciva a staccargli gli occhi di dosso, come se fosse un ipnotizzatore. Canzonava per divertirsi i vecchi pastori boomer. «Sono un pastore boomer del presepe, certo che penso che ai miei tempi Gesù bambino lo si trovava senza bisogno del GPS.» Questi impazzivano nei commenti su Facebook. Dicevano, speranzosi, che un tribuno americano lo avrebbe tolto di mezzo presto. «Popolo della terra, gioite, nel 2025 è in arrivo una nuova stagione!». Era arrivata la cometa di Netflix. «Adesso sì che è un buon Natale!» dissero tutti in coro. Un venditore al mercato del pesce se ne uscì con «e felice Q5 2024!» rovinando un po’ l’atmosfera. Ma tutto sommato, la felicità aleggiava nell’aria: anche quest’anno Erode, il garante della privacy del presepe, non si era visto. Nessuno aveva notato che il bambinello era la fotocopia sputata di Giuseppe. Solo osservandolo bene si poteva notare che aveva due piedi sinistri. Il marketing insegnato dai negozianti Punctum: aziendali Ti ricordo che ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto gonzo-collettivo a cui puoi contribuire senza pietà. No screenshot o inoltri social, solo foto vostre. Segnalazioni varie * La scorsa settimana ho parlato di etnografia e sociologia delle luminarie del Natale. * Ho partecipato alla trasmissione “Laser della Radio della Svizzera Italiana, condotta da Rachele Bianchi-Porro, sulla regressione infantile collettiva consumistica dei calendari dell’Avvento: il titolo della puntata è “Finestrelle sull’infanzia”. Si ascolta qui . Buone feste! Grazie ancora a Veralab. E se ti è piaciuta, inoltrala in giro. ci vediamo nel calendario nuovo, gluca Grazie a Daniela Bollini per la paziente correzione e a Cristina Portolano per i separatori. This is a public episode. If you would like to discuss this with other subscribers or get access to bonus episodes, visit lettera.minimarketing.it…
I
Il venerdì di [mini]marketing
![Il venerdì di [mini]marketing podcast artwork](/static/images/64pixel.png)
Ehi, prima di scrollare aspetta un attimo! Questa edizione ha una sponsorizzazione molto speciale. Il ricavato (750 euro) andrà a Emergency pro-Gaza , ed è offerto da Traininpink , che è risultata la migliore offerente all’asta benefica che avevo lanciato per le edizioni pre-natalizie (normalmente snobbate dagli sponsor). Io ci aggiungerò di mio altri 250 euro. La settimana prossima un altro sponsor ha comprato pro-Gaza l’ultima edizione 2024, che non spoilero ora. Grazie, davvero . Sei tra le circa 25.000 persone iscritte qui, su LinkedIn , Telegram e WhatsApp : grazie, spero che le 5,2 ore per scriverla ti siano state utili. A proposito, che ne dici di presentare il tuo brand nella newsletter? Dai un’occhiata per sponsorizzare nel 2025 . Il quiz della settimana Quante sono state le ricerche su Google per “luci (di) natale” nel dicembre 2023, all’incirca? Risposta in fondo. A) 500.000 B) 1.000.000 C) 2.000.000 [ad] Rimettiti al primo posto Da quanto tempo non ti prendi cura di te? Se stai leggendo questa newsletter e sei donna, probabilmente avrai mille impegni e progetti, sarai sempre di corsa... un giorno dovrebbe avere 48 ore ! Se ti rispecchi in questa descrizione, benvenuta : dal 2019 abbiamo trasformato più di 157.000 donne impegnate come te , aiutandole a sentirsi di nuovo forti e belle. Non devi andare in palestra, non devi avere attrezzi: ti bastano 27 minuti, 3 volte a settimana nella comodità di casa tua con il nostro Pilates . Tra un anno avresti voluto iniziare oggi : per questo ti regaliamo uno sconto esclusivo del 30% se inizi oggi, cliccando il link qui in basso. Ti garantiamo i risultati : se dopo 30 giorni non sei soddisfatta, ti rimborsiamo , nessuna domanda o spiegazione necessaria. Cos’hai da perdere? Entra nel nostro club esclusivo di donne che si vogliono bene, si sentono bene e si vedono bene. PS: lo sconto scade tra 24 ore , non aspettare – la nuova te ti aspetta. Il mercato dell’ossessione per le lucine natalizie C’è nella mia età matura un sentore lieve di malcelato piacere consumistico, un colpevole fare il tifo per quelli che sono oggi additati come i veri cattivi: la compiacenza per i produttori di cazzate. Penso sia dovuto (anche) inconsciamente alle privazioni dell’infanzia. Privazioni come possono essere privazioni quelle percepite da privilegiati figli di dirigente di banca, come si direbbe ora. Non privazioni dovute alla mancanza di risorse economiche quindi ma dal fatto che mia madre, cresciuta nel dopoguerra povero e bisognoso, ci imponeva rinunce che oggi considero completamente insensate e incongrue, che convivevano assieme a spese folli per l’arredamento di casa. Sapete quelli che giuravano che se mettevi le pile sul termosifone queste si ricaricavano? Lei fa parte di quel genere di persone. Ecco, ero un bambino pubblicamente invidiato dai compagni per l’auto di mio padre, ma in privato ero un mendicante di batterie AAA per le decorazioni di Natale o qualsiasi altro gioco che necessitasse di energia elettrica semovente. Figuriamoci dunque quanto erano considerate le decorazioni natalizie. Era sempre la stessa striscia di palline che usciva dalla stessa scatola da quando ne avevo memoria: luminarie luminose, sicuramente made in Padania, orrende, di tutti i colori dell’arcobaleno, ovviamente lampeggianti all’impazzata, dalle lampadine indistruttibili. Certo, allora le cose sì che duravano, signora mia, non c’era l’usa e getta luminoso-natalizio. In realtà quando si rompeva una lampadina si oscuravano tutte, per un motivo ingegneristico scemo che mi hanno spiegato ma che non ricordo mai. Si appoggiavano sul balcone con la propaggine che finiva su di un pino ben al di fuori dalla sua zona di comfort, e finiva lì. Ma, credetemi, era uno strazio, quel rivedere sempre le stesse luminarie. Del resto, non ricordo ci fosse poi nel mondo di allora “un trend” per le lucine. E se c’era, non arrivava sul Resto del Carlino. O forse non ne eravamo a conoscenza perché stavamo in provincia, ma non credo. In queste cose trash la provincia è da sempre all’avanguardia. Anche le vie, che mi ricordi, erano illuminate solo per l'annuale fiera del patrono, non per il Natale. (Forse comparve una cometa luminosa quando iniziò la assurda competizione tra paesi dei presepi meccanici, ma quella è un’altra storia ancora di cui recuperare tracce in questo pdf del 2006 , chiamato “Il post sotto l’albero”, ruderi della cosiddetta blogosfera). Luci trendy E invece da qualche anno le luci di Natale sono come le tendenze delle passerelle della moda autunno-inverno. Magari ci sono davvero: a Shenzhen i grossisti faranno le sfilate di lucine. (Una volta vidi tutte le statuette turistiche italiane in mostra a una fiera business a Milano, c’era un tizio asiatico che le quotava a chilogrammi. C’era Capri a fianco di Venezia, e anche quella delle Cinque Terre che marcava stretta la Torre di Pisa. Il business to business, a saperci guardare bene, è sempre molto divertente.) Ed ecco che quattro anni fa ci fu il picco della renna di LED in 3D, con modelli premium che poi morirono economicamente annegati in un’inflazione di renne low-cost cinesi negli anni successivi. Ma la cavalcata delle lucette era iniziata almeno dal nuovo secolo in poi. Prima abbiamo superato i 200 milioni, poi 300 nel 2018, e ora si stima che siamo sopra i 400 milioni all’anno in Italia. Avere luci colorate, proiezioni dinamiche e installazioni artistiche non era più solo un benefit riservato ad amministratori pubblici che sanno come coccolare i propri cittadini a spese dei cittadini stessi. Dai primi anni 2000 si è passati dalle classiche palline carnevalesche nei giardini come il mio ai proiettori che trasformano le pareti delle case in scenari tra il religioso, la disco di Riccione e il noir scandinavo, fino alle luci minimaliste dal design che-bella-Stoccolma-ci-siamo-appena-stati che puntano su sobrietà e raffinatezza, segno di status e reddito superiore. Come nell’armocromia, i trend rimbalzano tra il desiderio di stupire il vicino con effetti stroboscopici e la suddetta ricerca di un’eleganza falsamente modesta che sottintende redditi da Hamptons. A volte mi chiedevo come avessero fatto certi a installare addobbi su tralicci, torri, alberi altissimi: poi ho capito, sono gli artigiani che hanno sempre (un amico con) una gru e non hanno paura a usarla. Qui vicino ho visibili tutte le casistiche: c’è un tizio che ha messo talmente tante luminarie intorno alla casa che la gente si ferma spontaneamente con l’auto a bordo strada a fotografarvici davanti. Di primo acchito ci è rimasto male, ma ora ogni tanto fa perfino il vin brulé per i visitatori e te ne dà un bicchiere se ti fermi a fare due chiacchiere. Potere della vanità. Una matrice Ho fatto uno schema che riassume la mia personale visione etnografica delle lucine. Libero mercato, ti adoro Nella follia luminosa c’entrano l'innovazione tecnologica a basso costo, l’ecommerce e le luci LED low-cost; Instagram è stato la nitroglicerina finale: account Lucidimerda non ti temo, dice l’italiano medio. Se oggi siamo sempre su di un palcoscenico, digitale o reale, le lucine non possono fare eccezione. E dove c’è palcoscenico, arriva chi vuole fornirci tutto il necessario, per il giusto compenso liberistico, o quasi. E poi, dai, è anche tutto più sostenibile : la combo LED a basso consumo, pannelli solari integrati e il tutto-collegato-ad-Alexa permettono un risparmio energetico o almeno ce la raccontiamo. E poi le lucine ce le meritiamo, e che diamine. Perché resistere, dai. Tra Temu, Amazon, DHgate e altre turpi parti della rete si offre un assortimento infinito, che titilla la giusta creatività di ogni proprietario di balcone o di villetta a schiera. Sono solo altri 9 euro e novantanove, a volte 4 e novantanove. Devi solo ricordartene a ottobre, perché appunto il tuo atto creativo deve arrivare da Shenzhen. (Secondo un’indagine di Consumerismo No Profit (?), nel 2023 la spesa media a famiglia per albero, luci e addobbi vari era di circa 233 euro, mentre nel 2024 è salita a 270 euro. Secondo me è troppo, ma di solito sbaglio al ribasso in queste stime. Qualche altra stima va sui 100 euro a famiglia). Luci della città Gli amministratori pubblici fanno parte della competizione. I Comuni investono centinaia di milioni di euro per decorare con budget che vanno da decine di migliaia di euro per i centri minori a milioni per le grandi città come Milano e Roma. E poi naturalmente, i piccoli borghi che devono obbligatoriamente trasformarsi in piccoli presepi così-carini: una recente analisi ha mostrato che i borghi tradizionali vendono fino al 50% in più di prodotti tradizionali ai turisti, se illuminati scenograficamente. Un paio di anni fa ero in Albania a Capodanno e la cittadina in cui mi trovavo era mezza sottosopra per i lavori fognari incompiuti – ma al tunnel di luci in cui fotografarsi + baciarsi non aveva voluto rinunciare. E sapete che vi dico? Secondo me aveva ragione. L’anno scorso facevo la spesa e una coppia di persone (credo) indiane mi ha chiesto una foto. “ Qui?” ho pensato. “ Ah! Davanti alla luminaria buffa con il nome della nostra città? Ah! Con piacere! ”. Sono andati via tutti contenti e io mi sono un po’ vergognato del mio cinismo. Il sindaco ha sempre ragione, conosce i suoi polli, anche quelli nuovi. Trafiletto morale Che poi, se ci pensate, c’è qualcosa di più insensato delle luminarie? A che servono realmente? Gli economisti impazziscono per queste assurdità umane, non se ne fanno una ragione. Però fanno compagnia , cosa che nel PIL non viene evidenziata. Lucine, e tac! subito l’umore cambia. Si risparmia in psicofarmaci a carico del SSN, caro economista. Non è un caso che molti bar e ristoranti oggi usino tutto l’anno luminarie platealmente nate come luci delle feste. Fa emozione . Inspiegabile, ok, ma lo fa. E l’emozione fa scontrini. Un sociologo direbbe che le lucette “riflettono i valori, le aspirazioni e persino le insicurezze di una società”. Le vogliamo in segno di vitalità economica e ottimismo: finché c’è lucina c’è speranza. Adoro poi i brand che sponsorizzano alberi e lucine pubbliche. Secondo me hanno capito tutto: si associa il proprio brand alla felicità. E ora: Alexa, accendi la mia cascata di luci ! E ho comprato un pacco da 24 pile AAA da Amazon Basic. Mamma, tiè! Il marketing insegnato dai negozianti Un precisino. (di @amareggiata su IG) Ti ricordo che ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto gonzo-collettivo a cui puoi contribuire senza pietà. No screenshot o inoltri social, solo foto vostre. Segnalazioni varie * La scorsa settimana ho descritto come fare un post virale per caso su Linkedin, usando la AI, parlando della AI. È complicato da spiegare, dovresti leggerlo . * Ho partecipato alla trasmissione Laser della Radio della Svizzera Italiana, condotta da Rachele Bianchi-Porro, sulla regressione infantile collettiva consumistica dei calendari dell’Avvento: il titolo della puntata è “Finestrelle sull’infanzia”. Si ascolta qui . That’s all folks! Grazie di aver letto fin qua, di questi tempi è tanta roba. Per analizzare la strategia, l’organizzazione e il budget o invitarmi a parlare, e per essere sponsor basta rispondere alla mail. Grazie ancora a Traininpink. E se ti è piaciuta, inoltrala in giro. ciao, gluca Grazie a Daniela Bollini per la paziente correzione e a Cristina Portolano per i separatori. Quiz: la risposta corretta è A) 500.000 (fonte Glimpse ). This is a public episode. If you would like to discuss this with other subscribers or get access to bonus episodes, visit lettera.minimarketing.it…
Ehi, prima di scrollare aspetta un attimo! * Ho deciso di fare un’asta benefica: in questo modulo puoi fare un’offerta per essere sponsor di due uscite pre-natalizie. Il ricavato (io metto anche l’IVA) andrà a Emergency pro Palestina. Candidature aperte fino a domenica sera alle 23:59. * Ho cambiato il referral game per festeggiare le 20.000 iscrizioni, che con il metodo del link Substack non funziona bene. Per vincerlo devi inoltrare questa mail a tutto l’ufficio marketing - e mandarmi una foto mentre lo fai (cancella i loro nomi). Si vincono fidget spinner brandizzati [mini]marketing , molto trash . Sei tra le 25.000 persone iscritte qui, su LinkedIn , Telegram e WhatsApp : grazie, spero che le 4,5 ore per scriverla ti siano state utili. A proposito, che ne dici di presentarti nella newsletter? Dai un’occhiata alle info per sponsorizzare nel 2025. Il quiz della settimana Quale strategia è più indicata per un prodotto premium con un alto valore percepito e un target di nicchia? A) Distribuzione intensiva B) Distribuzione selettiva C) Distribuzione esclusiva D) Distribuzione diretta Risposta in fondo. LinkedIn è il regno dell’AI Qualche giorno fa scopro un articolo che sostiene già nel titolo che il 50% di tutti i post di LinkedIn siano più o meno generati dalla AI, soprattutto quelli lunghi ed elaborati, che sono quelli che hanno più possibilità di diventare virali, come si sa bene in giro. Siccome lì per lì non ho tempo di leggerlo tutto, lo faccio riassumere dalla AI. Il riassunto è così buono che mi viene in mente un diabolico esperimento: postare su LinkedIn il riassunto, creato dalla AI, di un articolo che parla di generazione di post con l’AI su LinkedIn. Ho imparato nel tempo che su LinkedIn può succedere qualunque cosa: ti impegni a scrivere qualcosa di intelligente, e la reach è deludente. Scrivi una sciocchezza, e l’algoritmo nota che la cosa funziona, e la trasforma in una hit assoluta (per i miei numeri, parliamo sempre di migliaia di visualizzazioni). Può essere che mi aspetti troppo dall’utente di LinkedIn e che l’algoritmo abbia ragione. Probabilmente è così. Ma non importa, proseguiamo. Ovviamente, per massimizzare le views lo incollo pari pari, e inserisco il link nel famigerato primo commento come ci insegnano (anche se è un garnde dipende, ne ho parlato qui ). Alla fine del post e nel commento con link inserisco l’informazione/disclaimer che il post è stato generato al 100% dalla AI. Prevedo che non succeda niente di che, anche se inconsciamente, dopo decenni di internet, so che a) parlare male di una piattaforma (o male di una piattaforma rivale) su quella stessa piattaforma funziona sempre b) accusare implicitamente metà della popolazione di quella piattaforma di usare la AI, e quindi di barare, potrebbe essere un trigger point di pregio. Come nella più remota delle ipotesi succede un disastro: quel post che mi aveva richiesto circa 20 secondi in tutto è diventato il mio post con più successo di tutto il 2024, e al momento è arrivato a superare le 25.000 visualizzazioni. Mi sono sentito come penso si senta una banana di Cattelan. Ero un truffatore di views o un artista geniale che aveva creato un’installazione digitale? E il lamento “ci potevo riuscire anche io” dunque poteva essere applicato anche stavolta, come per l’arte contemporanea? Qualcuno mi scrive nei commenti che era stupito (quasi deluso!) per quella strana scrittura anonima, impersonale, priva di spigoli, conoscendo come scrivo di solito. Ero impazzito? Perché avevo scritto “tuttavia”? E quell’inciso "non è priva di critiche" poi? I post “virali” di LinkedIn, come tutti i contenuti virali, vanno per definizione a finire a contatto con persone che non sanno chi sei e (mi pare) manco gli interessa, e quindi non riconoscono il contesto originale o il mood dell’autore con cui questi contenuti devono essere letti. Questi non hanno colto minimamente che quel post era una banana attaccata con lo scotch. L’hanno mangiata e basta. Moltissimi dunque non conoscendo la mia scrittura abituale (che esercito quasi solo nella newsletter, oltre che in “Svuota il carrello” e nel mio prossimo libro) non se ne sono accorti e, come il 90% che non ha letto il disclaimer in fondo, l’hanno semplicemente trovato a) un articolo interessante, b) nella media, o c) trascurabile e stop. Un normale mediocre articolo di LinkedIn. Qualcuno ha commentato in modo elaborato, ma scrivendo onestamente che anche il commento era stato messo in bella copia da ChatGPT, a partire da tre o quattro parole chiave. E che questa era vera libertà espressiva per la classe labour, ingegneristica, meccanica di LinkedIn, abituata a lavorare di ferro e numeri e non a scrivere. (Secondo me il ragionamento ha punti a favore.) Altri hanno barato , commentando elaboratamente ma con dei “tuttavia” sospetti. Ma chi sono io per giudicare? Io ci ho fatto il post con l’AI, addirittura. Il problema, come dice Nicola Bonora , non è che ChatGPT scriva impersonalmente bene, è che scrive meglio degli umani impersonali di LinkedIn. Giorgia Fumo , che del resto è una brava Data Driven Comedian, piazza la punch line vincente (ehi, Chiara Galeazzi, hai visto che ti ascoltavo, al corso?) su di un setup che avevo involontariamente creato: “I post scritti con l’AI si riconoscono perché non iniziano con una lamentela.” Qualcuno ha rifinito il concetto scrivendo “o con una auto-lode”. Altri hanno semplicemente detto che se glielo chiediamo, ChatGPT farà anche quello. Avevo preso in giro l’algoritmo? O in realtà ho eseguito quello che voleva l’algoritmo, che se ne frega di chi scrive ciò che triggera e quindi circola di più? A questo punto, pensavo, perché LinkedIn non se li crea da solo? Di certo LinkedIn non se ne accorge, o molto probabilmente non gli interessa. Poi ci ho pensato, al perché. Non se li crea da solo perché il fatto di avere una storia, un corpo, un passato, una persona più che una personalità, più che una reputazione, nell’epoca in cui le macchine scrivono meglio degli uomini, è l’unica risorsa che LinkedIn ancora può sfruttare da noi, dal fatto che stiamo qui a lodarci, a creare post anonimi, a lamentarci in modo AI-generated. LinkedIn ha bisogno (perché noi ne abbiamo bisogno) di sapere che in questo oceano di mediocrità almeno noi utenti siamo in carne e ossa, anche che se le nostre parole sono artificiali. A quelle ci ha/siamo abituati, ce lo aspettiamo. La conclusione del pezzo originale è probabilmente il 90% dei motivi per cui vale la pena leggerlo tutto . Il marketing insegnato dai negozianti Qui Roma. Ti ricordo che ilmarketinginsegnatodainegozianti.info è un progetto gonzo-collettivo a cui puoi contribuire senza pietà. No screenshot o inoltri social, solo foto vostre. Segnalazioni varie * La scorsa newsletter ho parlato di un’altra presunta morte del funnel, che però fa come i lombrichi, se lo tagli se ne formano due o tre . * È uscito un mio pezzo “back to reality” sulla strategia omnicanale e come perseguirla realisticamente, per il magazine di Eco Della Stampa. * Ho partecipato alla trasmissione Laser della Radio della Svizzera Italiana, condotta da Rachele Bianchi-Porro, sulla regressione infantile collettiva consumistica dei calendari dell’Avvento: il titolo della puntata è “Finestrelle sull’infanzia”. Si ascolta qui . That’s all folks! Grazie di aver letto fin qua, di questi tempi è tanta roba. Per analizzare la strategia, l’organizzazione e il budget o invitarmi a parlare, e per essere sponsor basta rispondere alla mail. E se ti è piaciuta, inoltrala. ciao, gluca Grazie a Daniela Bollini per la paziente correzione e a Cristina Portolano per i separatori. Quiz: la risposta corretta è C) Distribuzione esclusiva. Kotler dixit: la distribuzione esclusiva limita i punti vendita, rafforzando l’immagine di lusso e unicità di un prodotto premium, creando un valore percepito più alto e mantenendo il controllo sul posizionamento. This is a public episode. If you would like to discuss this with other subscribers or get access to bonus episodes, visit lettera.minimarketing.it…
Parliamo di dynamic pricing, e di un futuro ineluttabile in cui i prezzi saranno fluidi. This is a public episode. If you would like to discuss this with other subscribers or get access to bonus episodes, visit lettera.minimarketing.it
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